Covid-19 e scuola. Da adulti di fronte al fallimento
La parola. Classi pulite e fornite di dispositivi di sicurezza eppure svuotate dalla didattica a distanza. Piazze e negozi semivuoti. Parrocchie congelate. La seconda ondata era annunciata eppure ci ha colti alla sprovvista. Ma il cristiano sa che anche il fallimento è abitato da Dio e che la fede adulta sa prendere e portare la “croce”
Dopo i saluti alla classe, si spegne lo schermo del pc e la lezione è finita. Ancora non ci si abitua a ritrovarsi all’improvviso in silenzio, nell’aula deserta. Tutto è in perfetto ordine: i protocolli appesi al muro; i banchi distanziati; i dispenser per il gel igienizzante; le pattumiere speciali per fazzoletti e mascherine usati. Tutto in ordine, per poter svolgere la lezione in presenza, ma nessun alunno potrà essere presente.
Non resta che ripulire la postazione e uscire alla svelta, da quello che ha tutti i tratti di un fallimento. Un fallimento che ritrovi anche fuori dai cancelli della scuola: nelle piazze, nei negozi semivuoti, nei tanti servizi chiusi, nelle parrocchie congelate.
Stavolta non è come a fine febbraio, quando il Covid ci ha investito tutti all’improvviso, stravolgendo in profondità la nostra quotidianità. Stavolta ci si era in qualche modo preparati all’assalto del virus, mettendo in atto quanto ci era stato ordinato, per contrastare, o quantomeno contenere, la pandemia. L’impegno e il sacrificio dei più c’è stato, ma non è bastato.
In questa seconda ondata, le prime ad andare sotto stress sono state le relazioni personali e sociali. Allo sgomento e spontanea solidarietà di primavera, va sostituendosi in questo lungo autunno, la frustrazione e la rabbia. Cresce la diffidenza verso tutto e tutti. La tentazione è quella di scaricare il disagio cercando solo colpe e colpevoli. È bene lasciare ad altri, più esperti e informati, indicare gli errori commessi e gli eventuali responsabili. Qui invece vogliamo ricordare, in primo luogo a noi stessi, che è proprio in quel “non bastare” la cifra del fallire. L’esperienza del fallimento è parte integrante della vita dell’uomo e non sempre riducibile a un incidente o errore, più o meno colpevole.
Il fallimento è un invitato di pietra, con il quale ciascuno e tutti insieme dobbiamo prima o poi fare i conti: nemmeno l’impegno, la rettitudine morale o spirituale, bastano per tenerlo lontano. È una verità scomoda che ci tramandiamo di generazione in generazione. Non basta l’eroismo e la concordia dei troiani per salvare la città, né la tenacia di Ulisse per salvare i suoi compagni. E nemmeno la predilezione di Dio garantisce a Giobbe di non perdere tutto ed essere accusato colpevole dagli amici.
Visto che realisticamente non possiamo sempre evitarlo, dobbiamo allora attrezzarci per imparare ad abitare il fallimento, da adulti. È dell’adulto, infatti, avere il senso della realtà, ossia la capacità di accettare il proprio limite: non tutto dipende da noi. Questo non si traduce in un pigro fatalismo, ma nel saper affrontare le avversità della vita con fortezza interiore: vincendo lo scoraggiamento della frustrazione dei propri sforzi e la chiusura nel proprio interesse particolare; perseverando con sacrificio nell’edificazione del bene di tutti.
Per noi credenti, la chiamata è di vivere il momento presente da adulti nella fede. La fede adulta, alla sequela del Maestro, non chiede un tempo migliore, ma impara ad accogliere e discernere quanto succede come la “croce” che ci è data: quella che dobbiamo “prendere e portare”. Non come un peso che schianta, ma come esperienza comunque redenta, abitata da Dio. Il cristiano adulto non si chiude nel servizio ai cenacoli, ma va nei luoghi di vita, a testimoniare che anche nel fallimento ci sono i semi dell’amore del Padre per tutti gli uomini. E chissà se rientrando domani in quelle aule vuote, imparerò ad intravvedere in quei dispositivi inutilizzati, i segni di una segreta e lunga lettera d’amore, gonfia di nostalgia, ai ragazzi presenti solo a distanza.