Coronavirus, i rischi dei cooperanti nei paesi del sud del mondo
Condizioni igieniche scarse, mancanza di tamponi e mascherine, sistema sanitario fragile: se il Covid-19 arrivasse in Africa subsahariana si teme una diffusione molto veloce del contagio. “Noi cooperanti abbiamo paura di rimanere bloccati nel bel mezzo dell’epidemia, senza ospedali che ci possano curare in maniera appropriata e non avendo la possibilità di tornare in Italia”
GABU – “In Africa subsahariana le condizioni igieniche sono molto scarse: se arrivasse il coronavirus si diffonderebbe velocemente. Noi cooperanti temiamo di rimanere bloccati nel bel mezzo dell’epidemia, senza ospedali che ci possano curare in maniera appropriata e non avendo la possibilità di tornare in Italia”. Elisa Da Silva Guimarães, cooperante italiana dell’ong Aifo, lavora in Guinea-Bissau in un progetto per supportare i migranti di ritorno e i giovani a rischio migrazione. Ma le attività rischiano di venire sospese da un momento all’altro per fronteggiare la diffusione del Covid-19: “Contrarre qui il coronavirus significherebbe non poter essere curati in maniera appropriata: non sono sicura che ci siano mascherine, figuriamoci le attrezzature che siamo abituati a trovare nelle nostre terapie intensive – racconta –. Se dovessimo ammalarci, per noi espatriati esiste la possibilità del rimpatrio sanitario, ma visto che il sistema sanitario italiano è saturo è possibile che non ci farebbero tornare e che ci dirotterebbero su qualche altro paese africano dove la sanità è migliore rispetto alla Guinea”.
Intanto gli esperti si interrogano sul perché in Africa ci siano ancora così pochi contagi. Nonostante gli stretti rapporti commerciali con la Cina, luogo di origine della diffusione, e l'elevato numero di abitanti (circa 1,3 miliardi), per il momento si sono accertati solo pochi centinaia di casi nel continente: il paese più colpito è l’Egitto, con 126 positivi, seguito dal Sud Africa (61 casi) e dall’Algeria (48). Le ipotesi sono diverse: potrebbe essere la natura del virus, che sembra manifestarsi in alcuni casi senza sintomi, o la giovane età della popolazione, o ancora il clima più caldo. “Considerato però che il virus colpisce in particolare le persone con un sistema immunitario debilitato, se il coronavirus si dovesse diffondere qui potrebbe davvero fare una strage – spiega Guimarães –. Le persone non sono abituate a lavarsi spesso le mani o a disinfettare le superfici, il concetto di igiene è molto diverso. E poi l’isolamento domiciliare sarebbe complicato: le famiglie sono molto numerose e le persone dormono vicine in una stessa stanza”.
Per ridurre i contatti con il continente europeo, le compagnie aeree hanno cancellato quasi tutti i voli: in aeroporto a Bissau viene misurata la febbre a chi atterra e bisogna compilare un modulo di autocertificzione sul proprio stato di salute. Per chi arriva da un paese di contagio si raccomanda poi la quarantena. “Da ieri sera, un’ordinanza ha chiuso i bar e i locali – continua Guimarães –. Le disposizioni ufficiali chiedono ai cittadini che presentano sintomi di andare all’ospedale o al centro di salute più vicino, ma non so se lì ci sia effettivamente la possibilità di fare un tampone. Vicino alla Guinea-Bissau sono stati accertati già 24 casi in Senegal, paese confinante a nord, e uno in Guinea-Conakry, che confina a sud. Visto che il nostro progetto ha sede nell’area di Gabu, zona di passaggio tra Dakar e Conakry, il rischio è quello di entrare in contatto con il virus: per questo stiamo valutando di sospendere tutte le attività per almeno due settimane”.
In più, la Guinea-Bissau sta attraversando una forte crisi governativa: due candidati di partiti rivali rivendicano entrambi il ruolo di presidente, dopo che alle elezioni del 29 dicembre ci sono stati sospetti di brogli. “Questa impasse istituzionale non aiuta ad affrontare il rischio di contagio in maniera coordinata – conclude Guimarães –. In più, le notizie che arrivano dall’Italia non sono affatto rassicuranti. Tra i cooperanti ci dividiamo tra chi vorrebbe andarsene immediatamente e chi cerca di mantenere la calma, in attesa di capire come si evolverà la situazione”.