Cooperare è meglio. Perché istituzioni e partiti non s’impegnano per promuovere fattivamente la cooperazione?

Non esiste nulla di più ancorato al territorio e alla società che vi sta intorno, quanto una cooperativa

Cooperare è meglio. Perché istituzioni e partiti non s’impegnano per promuovere fattivamente la cooperazione?

Partecipare è una delle parole-chiave emerse dalle riflessioni uscite dalla Settimana sociale dei cattolici a Trieste. È il verbo che lega insieme società e democrazia; è il verbo che ancora fatica a legare insieme società e lavoro.
Non è più tempo di contrapposizioni radicale tra “padroni” e “lavoratori”, tanta acqua è passata sotto i ponti dalla Rivoluzione industriale in poi. E ognuno ha comunque un ruolo da rispettare. Ma i nuovi tempi – invece che avvicinare le due parti – rischiano di allontanarle ancora di più. Si è sempre connessi e collegati, quindi è facilissimo stare distaccati. Una mail per licenziare; lo smart working per parcellizzare i dipendenti; un whatsapp per comunicare in modo unidirezionale e impersonale.
C’è tanto da fare, per non ricadere in logiche ottocentesche. Soprattutto, c’è da rispolverare quel gioiellino chiamato cooperazione, che fu il cuneo che s’insinuò tra due mondi lontanissimi, in realtà avvicinandoli. Perché nella cooperazione non c’è proprio contrapposizione. I lavoratori sono anche imprenditori, tutti concorrono ad un obiettivo e l’utile generato dall’attività finisce (anche) nelle loro tasche.
Ma chi di voi ha letto o sentito negli ultimi anni parole “promozionali” sulla cooperazione, soprattutto tra i giovani? Che non la disdegnano, ma troppo spesso non la conoscono.
Soprattutto: perché istituzioni e partiti – o quel che ne rimane – non s’impegnano per promuovere fattivamente la cooperazione? Parliamoci chiaro: ci sono leve finanziarie e tributarie per sostenere qualsivoglia situazione, dal bonus giardini alle decontribuzioni varie. Ce n’è una – gigantesca – che favorisce la nascita di partite Iva tra i giovani, che praticamente sono esentasse e fino a livelli di reddito altissimi. Costa molto alle casse dello Stato, ha sponsor politici potenti, si è diffusa a macchia d’olio.
Stiamo però sempre parlando di quella atomizzazione della società che ci vuole tutti individui scollegati tra loro. Funzionale al capitalismo, al consumismo, ma non alle aggregazioni che sono i mattoni vivi della società e poi della democrazia.
E pensare che non esiste nulla di più ancorato al territorio e alla società che vi sta intorno, quanto una cooperativa. La Chiesa a fine Ottocento diede enorme impulso a questa “terza via” che portò intere fette d’Italia e di italiani fuori dalla povertà endemica e dentro il futuro che è oggi. Una lezione non solo da non dimenticare, ma da rinverdire al tempo di intelligenze artificiali e di internet dentro gli orologi.

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Fonte: Sir