Conversione ecologica. Greenaccord: “La transizione ambientale è prima di tutto una rivoluzione culturale”
È stato presentato a Roma un appello per la riconversione ecologica dei territori, firmato anche da Greenaccord. Alla base dell’appello c’è l’idea che per salvare il nostro pianeta serva un cambiamento di rotta dei nostri stili di vita e in particolare nel mondo dell’edilizia in termini di durabilità, economicità, ecologia, autosufficienza energetica e programmazione strutturale
Un appello alla conversione ecologica dei territori. L’ha lanciato la Fondazione italiana di bioarchitettura e antropizzazione sostenibile dell’ambiente ed è stato presentato martedì 23 novembre, presso l’Auletta di Montecitorio, a Roma. “Conoscere, rigenerare, facilitare” sono le linee guida che dovrebbero indirizzare la “conversione”, perché di fronte a “inediti fenomeni climatici”, che “non riguardano territori dove prevale l’abusivismo, ma contesti dove tutto è regolamentato”, è “evidente che le regole che hanno generato questi habitat non sono adeguate, sono inadatte al futuro, richiedono di essere ripensate”. L’appello, che parte dall’idea che “per salvare il nostro pianeta serva un cambiamento di rotta dei nostri stili di vita e in particolare nel mondo dell’edilizia in termini di durabilità, economicità, ecologia, autosufficienza energetica e programmazione strutturale”, è stato sottoscritto anche da Greenaccord. Il presidente e il segretario generale dell’associazione, rispettivamente Alfonso Cauteruccio e Giuseppe Milano, ce ne parlano.
Quali sono i punti cardine di questa proposta l’appello per la conversione ecologica dei territori?
Milano: “Conoscere, rigenerare e facilitare”, le tre sezioni del documento, rivelano la missione culturale e sociale dell’appello, proposto dalla Fondazione italiana di bioarchitettura, attraverso il quale si evidenziano l’esigenza e l’urgenza di
diagnosticare accuratamente lo stato di salute dei nostri territori per poterli curare e valorizzare nei dettami dell’ecologia integrale
aumentandone il benessere ecosistemico per le comunità che li attraversano. È un appello, pertanto, che esprime con forza una visione pragmatica e olistica del futuro nell’ambizione che si compia tempestivamente la conversione ecologica necessaria a tutelare il pianeta, la nostra unica “casa comune”.
A chi si rivolge l’appello?
Milano: L’appello, come tutti i messaggi che si propongono di sollecitare la transizione ecologica, si rivolge ad amministratori, imprenditori e società civile organizzata, nella consapevolezza, sempre più radicata, che “nessuno si salva da solo” e che
solo mediante un approccio cooperativo e inclusivo si potrà favorire l’epifania di un nuovo modello economico circolare capace di rispettare la riproducibilità delle sempre più limitate risorse naturali oggi disponibili.
In che condizioni è il territorio italiano? Quali sono le azioni più urgenti da adottare?
Milano: La più importante “grande opera” di cui avremmo bisogno nel nostro Paese è la sua messa in sicurezza attraverso le diffuse e numerose “piccole opere”. Queste andrebbero a sanare il territorio reso sempre più fragile dall’assenza di una cultura della prevenzione e della manutenzione che negli ultimi decenni ha esacerbato i fenomeni del dissesto idrogeologico e del consumo di suolo.
Il nostro Paese è primo in Europa, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, per erosione costiera e terza per impermeabilizzazione urbana.
Oggi le risorse, mai come in passato, ci sono per fare quello che servirebbe: mancano, però, i progetti esecutivi immediatamente cantierabili, oltre alla disponibilità della burocrazia a ridurre il proprio potere accettando le semplificazioni attese per accelerare i processi.
Perché Greenaccord ha firmato l’appello?
Cauteruccio: I territori non si convertono da soli. È evidente che la loro conversione passa attraverso l’azione e il discernimento dell’uomo. Affinché ciò avvenga
è necessario creare consapevolezza tra i cittadini e tutti i portatori di interesse e i giornalisti possono contribuire efficacemente in tale opera meritoria.
Greenaccord, dunque, non può che essere al fianco della Fondazione di bioarchitettura e di tutte quelle autorevoli organizzazioni che nel Paese da anni agiscono per realizzare un sincero e duraturo sviluppo sostenibile.
Per una conversione ecologica dei territori è necessario anche un cambiamento culturale? Quale ruolo può svolgere Greenaccord in questo senso?
Cauteruccio: Nel nostro Paese, negli ultimi decenni, è mancata l’urbanistica, la scienza del governo del territorio capace di cogliere e interpretare la complessità contemporanea, surclassata dai processi propri dell’edilizia. Questo non ha determinato solo la mancata riforma della legge fondamentale dell’urbanistica che è ancora quella del 1942 o la definizione della legge attesa da un decennio sulla riduzione progressiva del consumo di suolo come ci chiede ormai anche l’Europa, ma ha anche plastificato l’idea che si può vivere senza visioni e che tutto è possibile nella presunta illimitatezza delle risorse. La crisi ecologica e la crisi pandemica ci hanno svegliato, forse, dal nostro letargo etico: sospinti dagli impatti degli eventi estremi di origine climatica sempre più intensi e frequenti stiamo comprendendo che gli uragani del Mediterraneo sono interconnessi agli incendi della California e alla deforestazione dell’Amazzonia.
La transizione ambientale è prima di tutto una rivoluzione culturale
e sarà tanto più breve quanto più rapidamente comprenderemo che dobbiamo modificare i nostri insostenibili stili di vita quotidiani. Greenaccord da quasi 20 anni lavora per la formazione ambientale dei giornalisti e degli studenti, degli amministratori e degli imprenditori, nella consapevolezza che le città potranno diventare scrigni di biodiversità se saranno ingaggiate e coinvolte le comunità che le vivono.
Dopo la Cop26 è ancora più urgente un cambio di passo?
Cauteruccio: Pur riconoscendo la complessità dei processi negoziali, dopo 25 anni di Cop quasi inconcludenti, ci saremmo aspettati un Accordo di Glasgow più coraggioso e ambizioso, capace di saldare giustizia inter-generazionale e giustizia socio-ambientale. Oggi i Paesi più poveri e fragili sono i meno responsabili dei cambiamenti climatici, eppure sono e saranno quelli che maggiormente pagheranno le conseguenze dell’avidità dei Paesi più industrializzati.
Il nostro Paese, hotspot dei cambiamenti climatici nella regione euromediterranea, continua a sprecare annualmente cifre considerevoli per sovvenzionare le fonti fossili, quando potrebbero essere investite per la riforestazione e la rigenerazione urbana, per la mitigazione e l’adattamento climatico, per un’agricoltura meno intensiva e per un sistema dei trasporti meno energivoro.