Conto alla rovescia. Il raggiungimento dei punti critici globali che cambierebbero profondamente la nostra vita sulla Terra
Il superamento di un punto critico di rischio in un sistema può avere impatti a cascata che possono aumentare il rischio in altri sistemi
Il tempo trascorre e, lungo i secoli, il nostro pianeta si trasforma progressivamente. E’ il corso della natura? Non proprio: negli ultimi cinquant’anni, non v’è dubbio che tali cambiamenti siano dovuti prevalentemente alle attività umane. E purtroppo, non si tratta sempre di cambiamenti positivi, anzi!
Ancora una volta, infatti, un urgente e “severo” allarme viene lanciato a livello globale da un team multidisciplinare di scienziati, nel recente rapporto della United Nations University, intitolato “Risk tipping points” (“punti di non ritorno”): proprio a causa delle attività antropiche, il nostro pianeta sta andando incontro ad una serie di pericolosi punti critici, da cui non si potrà tornare indietro. L’aumento delle temperature, la riduzione delle risorse idriche, l’estinzione di piante e animali e l’accumulo di materiali di origine umana nei sistemi naturali, sono solo alcuni dei fattori che potrebbero ridisegnare in peggio la vita sulla Terra se le società umane non si trasformeranno rapidamente e radicalmente. Le conseguenze potrebbero essere gravi, i sistemi naturali potrebbero collassare, le scorte di cibo e acqua potrebbero crollare e la salute e il benessere umano potrebbero diminuire drasticamente.
Il documento descrive uno scenario tanto preoccupante quanto concreto, evidenziando l’imminente rischio che si verifichino sei punti di svolta globali, ognuno dei quali è determinato dal dilagante inquinamento umano e dall’estrazione delle risorse naturali. Di cosa si tratta? E’ presto detto: le estinzioni stanno accelerando; le risorse idriche sotterranee si stanno esaurendo; i ghiacciai delle montagne, con le loro preziose riserve di acqua dolce, stanno fondendo e riducendo; i cieli si stanno riempiendo di detriti spaziali, minacciando la capacità dell’umanità di lanciare i satelliti e di monitorare il riscaldamento globale e altri cambiamenti delle condizioni della Terra. Inoltre, le temperature stanno salendo alle stelle, aumentando il rischio di un caldo insostenibile. E l’aggravarsi dei disastri climatici, tra cui inondazioni, incendi e uragani, sta portando i costi assicurativi oltre i limiti di sostenibilità.
E’ plausibile, dunque, che superata una certa soglia, ognuno di questi punti critici potrebbe avere conseguenze disastrose per la vita umana sulla Terra, oltre ad una serie di effetti a cascata dovuti ad un inestricabile collegamento tra tutti questi fattori. “Il rapporto – spiega Jack O’Connor, autore principale del rapporto e scienziato senior all’Institute for Environment and Human Security della United Nations University – mostra anche che i punti critici di rischio non sono casi isolati, ma sono interconnessi. Quindi il superamento di un punto critico di rischio in un sistema può avere impatti a cascata che possono aumentare il rischio in altri sistemi”.
In che modo? La riduzione delle risorse idriche minaccia l’agricoltura e mette a repentaglio la sopravvivenza umana e la salute degli ecosistemi naturali. L’accelerazione delle estinzioni può causare il collasso di interi sistemi naturali, mettendo a rischio l’approvvigionamento umano di cibo e risorse. Ma anche il rischio crescente di un caldo insopportabile è una minaccia per l’agricoltura, per le riserve idriche e per gli ecosistemi naturali, mettendo a repentaglio la sopravvivenza umana nelle zone più calde del pianeta. Peraltro, il cambiamento di clima potrebbe innescare migrazioni di massa, col rischio di nuovi conflitti in tutto il mondo.
Alzando gli occhi al cielo, la situazione non è migliore, a causa dei crescenti detriti spaziali. L’orbita terrestre, infatti, si sta rapidamente riempiendo di satelliti rotti, parti di razzi abbandonati e altri rottami. Questa “spazzatura spaziale” rappresenta un rischio crescente di collisione con i satelliti attivi. Ebbene – avverte il rapporto – oltre una certa soglia “l’infrastruttura spaziale esistente verrebbe distrutta e le future attività nello spazio potrebbero diventare impossibili”. Oggettivamente, sarebbe un bel problema, data la necessità dei satelliti per innumerevoli servizi (comunicazioni, osservazione delle temperature globali, monitoraggio della progressione dei cambiamenti climatici sulla Terra, ecc…). Insomma, l’inquinamento spaziale minaccia anche la capacità dell’umanità di tenere sotto controllo tutti gli altri punti critici dell’elenco.
Si riuscirà ad intervenire in tempo? Gli autori del rapporto sono alquanto scettici. Paragonando, infatti, gli imminenti punti di svolta ad un’automobile che supera a velocità sostenuta i cartelli di avvertimento del bordo di un precipizio, O’Connor aggiunge: “Quello che vediamo è che spesso non solo non riusciamo a rallentare l’automobile, ma spesso premiamo ulteriormente il piede sull’acceleratore”.
Rispetto alle precedenti edizioni (iniziate nel 2021), il nuovo rapporto amplia il suo campo d’azione al di là dei singoli disastri recenti, concentrandosi invece sul rischio di punti di svolta globali più ampi. Vi è inoltre una forte sottolineatura della natura interconnessa di questi problemi: nessuno di essi si verifica in modo isolato e ogni punto di svolta ha effetti a cascata sui sistemi umani e naturali di tutto il mondo.
Tuttavia, di fronte al disastroso quadro dei rischi descritto nel rapporto, le società umane hanno ancora la possibilità di intervenire per futuro migliore. Evitare punti di svolta catastrofici, dunque, è possibile, a patto che i sistemi umani subiscono una drastica trasformazione globale. “Il nostro rapporto – aggiunge O’Connor – non dice che siamo condannati ad attraversare questi punti critici, ma piuttosto dovrebbe metterci in condizione di vedere le strade che ci aspettano e di fare dei passi verso un futuro migliore. Stiamo ancora guidando l’automobile e abbiamo ancora una scelta”.
Cosa fare, dunque, in concreto? Il rapporto suggerisce due categorie principali di possibili soluzioni. Anzitutto, i sistemi umani devono evitare le attività che aumentano il rischio di superare soglie disastrose. Al tempo stesso, devono adattarsi ai danni già causati e alle conseguenze dei punti critici che non possono essere completamente evitati. Le comunità umane, quindi, devono lavorare per ritardare la progressione verso punti critici catastrofici, ed insieme trasformarsi in modo radicale, rendendo i sistemi umani sicuri e sostenibili per il futuro. Un vero e radicale ripensamento, insomma, del modo in cui la vita quotidiana e le comunità umane attualmente operano. Ciò implica la messa in atto di strategie come la riprogettazione delle città con più spazi verdi, edifici efficienti, sistemi energetici e di trasporto sostenibili e un’equa accessibilità ai servizi vitali per ridurre contemporaneamente le emissioni di gas serra, far fronte all’aumento del calore e ridurre le disuguaglianze socio-economiche.
Di sicuro, non sarà sufficiente adottare tattiche di semplice “ritardo” dei disastri annunciati, ma occorrerà orientarsi decisamente verso azioni di vera “trasformazione”, che affrontino i problemi di fondo che hanno portato a questi punti critici. E questo richiede una preoccupazione e una collaborazione collettiva a livello globale.
“Tornando all’analogia con l’automobile – conclude Zita Sebesvari, autrice principale del rapporto e vicedirettrice dell’Institute for Environment and Human Security della United Nations University -, questo significa uscire insieme dall’auto e chiedersi perché stiamo sfrecciando verso quel pericoloso precipizio. Cambiare sistemi e comportamenti consolidati non è mai facile, ma questa è la scelta che dobbiamo fare se vogliamo evitare i punti critici del rischio. La domanda che ci troviamo ad affrontare è semplice, ma profonda: che tipo di futuro vogliamo?”.