Bolzano, i team pastorali sostengono una Chiesa missionaria

Con i suoi 7.400 chilometri quadrati, suddivisi in venti decanati e 281 parrocchie, la Diocesi di Bolzano Bressanone é la più estesa d’Italia per superficie.

Bolzano, i team pastorali sostengono una Chiesa missionaria

Qui vivono 500 mila abitanti, trilingui, la gran parte cattolici. Questa caratteristica territoriale fa sì che la parrocchia – anche se nella metà del totale ci sono meno di mille fedeli – sia una realtà importante. «Ormai dieci anni fa abbiamo aperto un Sinodo diocesano – racconta Reinhard Demetz, 45 anni, sposato, tre figli, dottorato in teologia dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana, direttore dell’Ufficio per la pastorale della Diocesi di Bolzano-Bressanone – e da qui ne è nato anche il nuovo cammino che abbiamo intrapreso, quello dei team pastorali. Abbiamo visto infatti che non è possibile portare avanti il modello classico del parroco con la sua parrocchia. Potevamo ridurre drasticamente il numero delle parrocchie, ma se vogliamo essere Chiesa missionaria dobbiamo essere presenti nel posto, soprattutto con la conformazione territoriale della nostra Diocesi. Ecco perché abbiamo optato per i team pastorali: tenere le parrocchie, a patto che ci sia un gruppo di persone che manda avanti le funzioni essenziali, la liturgia, l’annuncio e la carità, facendolo in modo strutturato». A oggi i team sono cento con poco più di 400 membri che li costituiscono, ogni team ha dai tre ai cinque collaboratori, l’età media è 57 anni, uno dei più giovani ne ha 32. Il team ha una persona incaricata per la liturgia, una per l’annuncio e una per la carità più una che segue l’amministrazione e una quinta figura che fa da coordinatrice del team stesso. Una persona può ricoprire anche due ruoli, soprattutto in parrocchie piccole. «La scelta delle persone – continua Demetz – è del consiglio pastorale parrocchiale insieme al consiglio per gli affari economici con il prete responsabile. Per le prime esperienze vengono accompagnati dall’Ufficio della pastorale della Diocesi e di solito la persona giusta c’è già: è quella che è già attiva e impegnata in un ambito, ha esperienza e sensibilità. Delle volte nella ricerca della persona le parrocchie scoprono un volto, una persona che ha tutte le capacità e la si coinvolge. Quali caratteristiche devono avere? Una buona formazione cristiana, ma non si chiede nessun titolo accademico. Ciò che conta è soprattutto l’esperienza in parrocchia, la conoscenza delle dinamiche e delle persone della comunità e poi una conoscenza del campo nel quale si stanno per coinvolgere. Non chiediamo una formazione specifica, la offriamo e gliela diamo in itinere, ma non li obblighiamo a farla perché per quello che le persone devono fare conta tantissimo l’esperienza e il cammino fatto. C’è la formazione di sostegno e aiuto, ma molti si muovono benissimo senza un percorso specifico». La Diocesi offre un percorso fatto di moduli sui temi legati ai team pastorali e alle funzioni proprie del team. Chi fa parte del team pastorale riceve il mandato dal vescovo, l’incarico dura cinque anni e corrisponde a quello del consiglio pastorale parrocchiale. Al rinnovo del consiglio pastorale viene rieletto anche il team. Quando un nuovo team viene introdotto, è previsto un momento dedicato nella liturgia domenicale, dove si chiede ai membri la loro disponibilità a servire la comunità, si consegna loro il decreto di nomina e si conclude con una solenne benedizione dei membri del team e della comunità. «Il consiglio dà indicazioni, priorità, è luogo di discernimento, mentre il team pastorale è il gruppo operativo che porta avanti il quotidiano della parrocchia. Il team ha il compito di preparare e guidare le elezioni del consiglio pastorale. Il coordinatore o coordinatrice del team è per definizione anche presidente del consiglio». Essendo persone già conosciute, impegnate in parrocchia, non ci sono particolari difficoltà nell’introdurle nella comunità. «Sono casi estremamente rari in cui ci sono stati intoppi – assicura il direttore dell’Ufficio di pastorale – Il team non è visto come un organo che sta al di sopra: a decidere la direzione della comunità rimane il consiglio, il team è il braccio operativo. Molto spesso nelle nostre parrocchie, quelle più piccole, team e consiglio coincidono. Nel complesso è un compito impegnativo, difficile quantificare le ore perché dipende dalla dimensione della parrocchia e da quante persone gravitano già attorno. Essere membro di un team pastorale non vuol dire fare tutto da solo, ma al contrario il primo compito è coinvolgere e incoraggiare le persone». È un servizio volontario, come è previsto nelle direttive della Diocesi: la parrocchia può avere delle figure stipendiate ma non nel team, una scelta fatta anche su indicazione del Sinodo diocesano che voleva una Chiesa meno clericale e il team pastorale deve essere espressione della comunità dei credenti. L’esperienza in atto è iniziata nel 2012 con la sperimentazione del responsabile, per passare poi ai team che hanno trovato una loro definizione nel 2019. «In questi pochi anni di percorso con la pandemia in mezzo – conclude Demetz – abbiamo visto che dove il team lavora come previsto ci sono benefici, la parrocchia ne giova, i ruoli sono chiari. La fatica in certe situazioni è far decollare l’esperienza che resta solo sulla carta. Nella maggioranza dei casi introduciamo i team quando c’è un avvicendamento nella parrocchia, cambia il parroco ad esempio, e quello è il momento in cui comunichiamo il passaggio. Nel complesso il lavoro della parrocchia è strutturato, la responsabilità è suddivisa su diverse spalle e l’incarico del vescovo dà anche una spinta alle persone, è una forma di riconoscimento, un importante segnale. Qualcuno ci dice: adesso ho capito che ora tocca a noi».

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