Autonomia differenziata. La pandemia ha messo a nudo i limiti di azione di uno Stato che fatica già in tempi normali
L’autonomia regionale non funziona se non è collegata ad un’autonomia fiscale che, nell’immobile Italia del Gattopardo, appare però come un puro miraggio.
Il Covid ha messo in secondo piano qualsiasi altro tema che non sia il contenimento della pandemia. Tra questi, la richiesta di autonomia differenziata che tre Regioni (Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna) hanno avanzato allo Stato centrale dopo un referendum consultivo che ha dato loro mandato di farlo.
Eppure mai come adesso il tema diventa interessante e “visibile”. La pandemia ha messo a nudo i limiti di azione di uno Stato che già in tempi normali fatica a selezionare gli insegnanti per le scuole – all’alba di dicembre sono ancora molte le classi con supplenti vari –; che ha una giustizia indecente almeno nelle tempistiche; che ha un’offerta sanitaria e assistenziale diciamo… a macchia di leopardo; che non riesce nemmeno a riscuotere da tutti le tasse che impone.
Soprattutto è uno Stato che non controlla la propria spesa: dai redditi di cittadinanza dati a pluriomicidi ai soldi appunto passati alle Regioni che non sanno dotare i loro territori di una sanità decente. Vedi Calabria. L’Italia spende tanto, spende male: se lo potrà permettere in futuro con oltre 2.500 miliardi di debito pubblico sulle spalle?
Ma tutto scivola via, anzi scivola sulle spalle delle generazioni future alle quali stiamo consegnando tante difficoltà e un fardello spaventoso di debiti. Quindi ogni azione che permetta di spendere meno e meglio è benvenuta, anzi benedetta.
L’autonomia regionale non funziona se non è collegata ad un’autonomia fiscale che, nell’immobile Italia del Gattopardo, appare però come un puro miraggio. Non funziona se non ci sono classi dirigenti all’altezza: perché una forte autonomia è già esistente sia in Alto Adige – dove funziona splendidamente –, sia in Sicilia e Val d’Aosta, dove andrebbe cancellata visti i risultati.
Le classi dirigenti siamo noi, a Roma come a Milano o Campobasso. La burocrazia no, intesa come ministeri e articolazioni varie: quella italiana è forse il freno principale allo sviluppo non solo economico. La salus sua è la mors del resto del Paese. Ma dalle sue mani passa la riforma di se stessa: lo farà mai?
No. Aggiriamo il problema, smantelliamolo anche con una sussidiarietà territoriale delle competenze e della spesa. Se il presidente della Regione con la sua Giunta lavora male, sappiamo dove trovarlo (anche fisicamente) e come cacciarlo alle prossime elezioni. Un burocrate ottuso e incapace dove sta?
E non s’inventi la scusa delle Regioni più ricche in fuga dalle povere, o della mancanza di solidarietà: quelle del Nord continueranno a versare il surplus fiscale a quelle del Mezzogiorno per dettato costituzionale, per ragioni di bilancio (e per ragioni pratiche). Quei referendum non hanno chiesto soldi in più, ma di gestire localmente quelli che gentilmente Roma lascia sul territorio. C’è chi lo farà bene e chi lo farà male: tutto sarà più visibile, giudicabile, confrontabile. Vedi la gestione sanitaria di due Regioni confinanti e “omogenee” come il Veneto e la Lombardia: magari chi lavora meglio può aiutare almeno con l’esempio chi invece naufraga.