Alle prese con i compiti delle vacanze: sono utili o no?
In genere, le famiglie chiedono non che i compiti vengano eliminati, ma che il carico sia proporzionato agli impegni extrascolastici degli studenti.
Chiuse le scuole. Passata l’euforia per la promozione, o incassato lo sconforto per eventuali sospensioni di giudizio (nella scuola superiore di secondo grado), si fa strada inesorabile il pensiero assillante dei famigerati “compiti per le vacanze”.
L’argomento negli ultimi tempi è stato oggetto di diversi dibattiti e frequenti polemiche.
E’ proprio necessario caricare studenti e, inevitabilmente, famiglie di letture ed esercizi a casa dopo un estenuante anno scolastico? Sono realmente utili i compiti per le vacanze? Vengono poi davvero corretti a settembre, oppure sono destinati a giacere per un certo imprecisato numero di settimane nel fondo degli zaini, per poi finire nel dimenticatoio?
Nei giorni scorsi il Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Marco Bussetti, ha reiterato il suo monito: attenzione! I compiti estivi “vanno dati, anche per tenere la mente allenata, ma nella giusta misura, evitando carichi eccessivi”.
Le più recenti indagini sugli apprendimenti (come il Pirls – Progress in international reading literacysStudy, condotto nel 2016 su un campione di bambini di quarta classe della scuola primaria) intanto, mostrano che a rendere alunni e studenti più preparati non sono certamente i compiti a casa. Il lavoro determinante è quello che si svolge in classe, anzi sembrerebbe addirittura che a totalizzare i punteggi più elevati non siano affatto gli studenti più oberati di compiti: estrapolando i dati si vede che gli alunni più tartassati mostrano performance meno brillanti.
Il pedagogista Benedetto Vertecchi sostiene che gli insegnanti “che lasciano meno compiti a casa e ottengono migliori risultati, probabilmente privilegiano alla scuola dell’adempimento quella dell’apprendimento”.
Ma com’è la situazione nel resto dei Paesi d’Europa?
Gli studenti finlandesi sono tra i meno appesantiti dai compiti per casa: 2,8 ore a settimana (dati 2012). Ricordiamo, fra l’altro, che la Finlandia è in cima alle classifiche europee per la qualità della formazione e degli apprendimenti. Anche in Corea del Sud i compiti a casa degli studenti raggiungono una media di appena 2,9 ore a settimana, eppure i coreani sono considerati gli alunni tra i più bravi al mondo.
E gli italiani come si collocano? A casa i nostri ragazzi trascorrono sui libri una media di 8,7 ore alla settimana e sono superati soltanto dai compagni russi con 9,7 ore.
A lamentarsi per la consistente mole di compiti sono soprattutto i genitori che, negli ultimi anni, si sono costituiti in vere e proprie associazioni. In genere, le famiglie chiedono non che i compiti vengano eliminati, ma che il carico sia proporzionato tenendo presente anche gli impegni sportivi, musicali e formativi extrascolastici degli studenti. Soprattutto, si invocano scelte che portino i ragazzi a sviluppare un maggiore senso di autonomia e, magari, sollecitino anche l’interesse per la lettura.
Maurizio Parodi, dirigente scolastico a Genova e autore del libro Basta compiti!, ha scritto una sorta di decalogo per l’apprendimento. In esso sostiene, tra le altre cose, “che la scuola dovrebbe riconoscere e nutrire le diverse intelligenze di cui ciascuno è variamente dotato, anziché inibirne l’espressione praticando un insegnamento verboso e nozionistico” e “che si possa imparare naturalmente (Freinet) e insegnare indirettamente (Montessori), evitando esercitazioni noiose, estenuanti, che procurano sofferenza profonda e suscitano repulsione per lo studio”. Parodi incoraggia “il gioco, la collaborazione tra pari, l’iniziativa individuale e del gruppo, la ricerca, quella ‘vera’, perché sostenuta da motivazioni autentiche, intrinseche, non come nelle squallide ‘ricerche scolastiche’”.
Gli spunti proposti sono interessanti, ma attenzione perché questo modello di scuola rischia la deriva del disimpegno se non adeguatamente sostenuto dalla progettualità attiva di famiglia, scuola e istituzioni, all’interno della quale è necessario confluiscano importanti risorse e profonda attenzione, non solo critiche.
Silvia Rossetti