Affido. Le associazioni chiedono di rilanciarlo perché ogni bambino ha il diritto di crescere in una famiglia
A 40 anni dalla legge, idee e proposte delle associazioni e delle reti di famiglie affidatarie per rilanciare l’affidamento come strumento di tutela e di prevenzione, perché crescere in famiglia deve essere un diritto per ogni bambino. L’importanza di istituire una Giornata nazionale dedicata il 4 maggio di ogni anno
Occorre investire ulteriormente e con maggiori risorse sull’affidamento familiare per garantire a ogni bambino/ragazzo il diritto a crescere in una famiglia, qualora non sia possibile nella propria. Ne sono convinte le associazioni aderenti al Tavolo nazionale affido (Tavolo di lavoro delle associazioni nazionali e delle reti nazionali e regionali di famiglie affidatarie), che oggi ha promosso il webinar “Verso la Giornata nazionale dell’affido, 4 maggio 1983… 4 maggio 2021” per accendere i riflettori sul diritto di tutti i bambini e le bambine a crescere in famiglia, a quasi 40 anni dall’approvazione della legge 184 del 4 maggio 1983, con cui è stato regolamentato l’affidamento familiare. L’evento odierno – al quale hanno partecipato fra gli altri la ministra per la Famiglia, Elena Bonetti, e la Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti – è anche occasione per lanciare la proposta di istituire la Giornata nazionale dell’affido il 4 maggio di ogni anno.
La fotografia. Al 31 dicembre 2017 erano
27.111 i minori in condizione di allontanamento dalla famiglia d’origine:
14.219 i bambini e i ragazzi in affidamento familiare consensuale o giudiziale (ossia senza il consenso della famiglia d’origine); il 48% dei quali (pari a 6.825) affidati a parenti, il 52% (cioè 7.394) affidati a terzi. Alla stessa data, erano 12.892 i minori collocati in strutture residenziali. Il 18,9 % dei minori affidati è straniero e di questi i minori stranieri non accompagnati rappresentano il 17,2%; l’8,3% è rappresentato da minori disabili. Il 4,3% dei minori affidati è stato dichiarato adottabile nel corso del 2017. Questa la fotografia scattata dal rapporto finale dell’indagine “Affidamenti familiari e collocamenti in comunità al 31 dicembre 2017″, pubblicato nel marzo 2020 dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali.
Partono da questi numeri, gli ultimi dati ufficiali, le associazioni aderenti al Tavolo – tra cui Aibi Amici dei bambini, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23), Cnca, Salesiani per il sociale – esprimendo preoccupazione per la presenza in strutture residenziali di bambini al di sotto dei 6 anni. In particolar modo preoccupano i 761 piccoli 0-2 anni, nonostante le evidenze scientifiche delle conseguenze negative della deprivazione di cure familiari nei primissimi anni di vita.
Negativo anche il clima di diffidenza e discredito sull’affidamento familiare sviluppatosi di recente, in particolare dopo lo scandalo di Bibbiano nel 2019, tanto che Giovanni Paolo Ramonda, responsabile Apg23, disse in quell’occasione al Sir: “Sulla vicenda di Bibbiano va fatta chiarezza” ma “questo non può indurre a gettare nella spazzatura il valore dell’affido né può far venir meno il valore di un sistema collaudato, consolidato ed efficiente”. A questo si aggiungono le difficoltà acuite dalla pandemia. Di qui l’intenzione delle associazioni aderenti al Tavolo di
rilanciare “l’affidamento familiare come strumento di tutela e di prevenzione”.
Alla luce della suddetta legge 184/1983 e della legge 173/2015, che ha introdotto il diritto alla continuità affettiva dei bambini in affido, le associazioni sottolineano l’importanza di
mantenere il più possibile i legami con la famiglia d’origine.
Poiché, secondo le associazioni, l’attuale sistema dell’affido è caratterizzato da forme di intervento “tardo-riparative”, sono necessarie “strategie di ‘riposizionamento’ che riescano sempre più ad intervenire per tempo, prevenendo l’aggravarsi delle problematiche familiari fino, ove possibile, a prevenirne la stessa insorgenza”. E ancora: occorre “evitare qualsiasi tendenza alla cronicizzazione di situazioni prese in carico dai servizi”.
Di qui alcune proposte. Anzitutto promuovere un sistema di raccolta dati che consenta di avere in tempi più rapidi la situazione dei minorenni fuori dalla famiglia di origine; quindi la necessità di inserire in modo sistematico e approfondito nelle rilevazioni i motivi che portano all’allontanamento del minore. “E’ probabile – sostengono le associazioni – che la pandemia di Covid-19 stia modificando le cause di sofferenza delle famiglie e quindi dei possibili allontanamenti”. Le associazioni chiedono inoltre di promuovere l’uso di tutte le forme di affido con l’implementazione delle “Linee di indirizzo del ministero del Lavoro e delle politiche sociali sull’affidamento familiare e sugli interventi a sostegno delle famiglie fragili”, ma anche di cambiare rotta passando dagli affidamenti “tardo-riparativi” agli affidamenti “preventivi”, realizzati d’intesa con la famiglia d’origine. Privilegiare gli affidamenti dei bambini sotto i sei anni evitandone l’inserimento in strutture di accoglienza è un’ulteriore indicazione, insieme a quella di valorizzare le migliaia di esperienze finora realizzate, facendo conoscere le buone prassi e
dando voce agli affidati già maggiorenni, agli affidatari e, per quanto possibile, alle famiglie d’origine.