Adeguamenti pensionistici. Se l’inflazione calcolata è allo 0,8%, le rivalutazioni delle pensioni saranno risibili
Chi riceve mille euro lordi, li vedrà aumentare a 1.008; chi invece 2.500, toccherà i 2.520 euro
Un euro e ottanta centesimi: a tanto (per modo di dire) ammonta l’adeguamento delle pensioni minime all’inflazione, calcolata dall’Istat allo 0,8% annuo. Morale della favola: la “minima” tocca ora quota 616,57 euro al mese. Non una grande notizia per quasi un milione settecentomila italiani, quanti sono coloro che percepiscono questa indennità previdenziale di base. Altri tre milioni non arrivano a superare i mille euro mensili: redditi che di diritto fanno inserire i beneficiari tra i nuovi (o vecchi) poveri.
Il Governo comunque ha ristabilito il principio, già adottato in passato, di adeguare gli assegni pensionistici a seconda degli importi, garantendo il recupero del 100% dell’inflazione per tutti gli assegni fino a quattro volte il minimo (2.394 euro mensili lordi); da quell’importo e fino a 2.993 euro, la rivalutazione sarà ridotta al 90% dell’inflazione; sopra quell’importo, al 75%.
Rimane che, se l’inflazione calcolata è appunto allo 0,8%, le rivalutazioni saranno risibili: chi riceve mille euro lordi, li vedrà aumentare a 1.008; chi invece 2.500, toccherà i 2.520 euro. Insomma, nel “migliore” dei casi l’aumento sarà di qualche decina di euro lordi al mese. Comunque meglio che nel recente passato, quando i mancati adeguamenti a tassi inflattivi assai pesanti hanno comportato un taglio netto degli importi erogati per ben 37 miliardi di euro: felice la collettività, meno chi li ha subiti.
Si favoleggia poi sull’ipotesi di aumentare le pensioni minime a mille euro al mese. Al di là del fatto che quegli assegni pensionistici non sono supportati da pochi o nulli contributi versati – e quindi sarà la fiscalità generale a dover intervenire –, esiste proprio un problema di soldi da spendere in più.
È difficile quantificare l’esborso complessivo (andrebbe calcolato in base ad ogni singolo assegno previdenziale), ma a spannometro rischia di superare abbondantemente i 6 miliardi di euro l’anno, in un contesto di spesa previdenziale che guarda da vicino quota 350 miliardi.
Vista la mancanza di tesoretti nascosti nei conti pubblici, a chi toglierli per girarli alle pensioni minime? Non si dimentichi che vige ancor oggi il reddito di cittadinanza (oggi assegno di inclusione) per circa 625mila famiglie.
E come giustificare il fatto che chi ha lavorato venti e più anni nella vita, avrebbe una pensione di poco superiore a chi non ha lavorato nemmeno un giorno?
Ma sono scelte politiche. Nell’attesa, il mini-aumento che garantisce un caffè al bar o poco più.