Voto ai sedicenni? Rosina: “Vogliono far sentire la propria voce, serve un supporto di consapevolezza e responsabilità”
Le manifestazioni degli ultimi giorni dimostrano che anche in Italia le giovani generazioni esprimono la volontà di poter contare sul proprio futuro, su quello del Paese e del pianeta. Nasce da qui la proposta di Enrico Letta di estendere il diritto di voto ai sedicenni. “Se non facciamo nulla - afferma il demografo della Cattolica - non miglioriamo la loro partecipazione alla cittadinanza attiva e ci troveremo 18enni che arrivano al voto immaturi e che votano così come capita”
“Se offriamo ai sedicenni, con la fiducia che gli si dà rispetto al fatto di mettersi in gioco con il voto, il potenziamento della capacità di leggere la realtà e decodificarla in termini di cittadinanza attiva, quando arriveranno a 18 anni saranno più maturi degli attuali 18enni. E questo è già un buon risultato”. Ne è convinto il professor Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica e curatore del “Rapporto Giovani” dell’Istituto Toniolo, commentando la proposta di estendere anche ai sedicenni il diritto di voto.
Professore, l’idea rilanciata da Enrico Letta del voto ai sedicenni sta alimentando il dibattito pubblico. Lei cosa ne pensa?
Si tratta di una proposta che avevo lanciato 10 anni fa in “Non è un paese per giovani” come misura per potenziare il ruolo attivo delle nuove generazioni nei processi di cambiamento del Paese anche come conseguenza della riduzione del peso demografico delle nuove generazioni perché la denatalità e l’invecchiamento della popolazione fanno pesare sempre di più l’elettorato anziano – e quindi i loro bisogni e le loro istanze – anche nel dibattito pubblico e nell’agenda politica con il rischio che sempre meno l’interesse vada anche verso un elettorato, quello delle giovani generazioni, che si sta riducendo.
Abbassare di due anni l’età per poter partecipare al voto cambierebbe le cose?
Negli ultimi anni l’elettorato over 65 ha superato l’elettorato tra i 18 e i 64 anni.
Aggiungere i 16-17enni non fa recuperare comunque il peso elettorale perduto ma compensa, anche se in maniera minima, la riduzione. Non è solo una questione quantitativa, dev’essere anche una sfida qualitativa.
Per questo la proposta di abbassare il voto ai 16enni dev’essere accompagnata ad un potenziamento dell’educazione alla cittadinanza all’interno delle scuole, che aiuti ad interrogarsi su come sta cambiando il mondo, quale ruolo attivo possono avere le nuove generazioni, cosa voglia dire partecipare a processi decisionali collettivi, quale sia il valore del voto, come possono migliorare l’offerta e la domanda politica.
Questo aiuterebbe a combattere la diffusa disaffezione verso la cosa pubblica che non risparmia anche i più giovani…
Dalle ricerche dell’Istituto Toniolo è emerso che comunque c’è una voglia dei giovani di poter contare sul proprio futuro, di poter incidere sui cambiamenti del Paese, di far sentire la propria voce.
Quindi, il desiderio di un’offerta politica migliore che si rivolgesse a loro e li coinvolgesse nei processi decisionali. Perché un’offerta politica può essere di successo verso i giovani se è in grado di catturare i loro interessi ma anche di coinvolgerli direttamente, attivamente.
Si riuscirebbe a farlo anche con i 16-17enni?
È difficile, ma quella dei 16-17enni è un’età chiave di socializzazione. Si tratta di mettere in campo un coinvolgimento che li aiuti a capire meglio il mondo per poter incidere con delle proprie scelte.
La possibilità di votare, magari inizialmente alle elezioni amministrative potendo dire la propria sul futuro del proprio quartiere o della propria città, è già un passo in avanti per inserirsi in questo sguardo attivo nei confronti della realtà.
In questi giorni è stata evidente anche in Italia la voglia di partecipazione della “generazione Greta”. Pensa che un coinvolgimento dei ragazzi implichi un cambio di agenda per la politica?
I movimenti come “Fridays for future” e l’attivismo dei giovani sull’ambiente ha già acceso un forte interesse della politica nei confronti dei giovani nonché delle sensibilità e istanze di cui sono portatrici le nuove generazioni. Questo è già un risultato. Vedremo se poi questo aprirà e potenzierà una stagione nella quale la politica aumenterà la capacità di attenzione sulle nuove generazioni, su quello che sta cambiando nella loro vita, su quali sono i loro desideri e progetti e li aiuterà a contare di più per costruire insieme un futuro migliore. Ma è il processo che dobbiamo favorire e incentivare. Quindi ben venga un dibattito pubblico che, a partire dall’abbassamento dell’età del voto ai sedicenni, ci impegna tutti di più a fare in modo che questo abbia successo proprio nelle modalità di partecipazione.
Con il Rapporto Giovani si è più volte parlato di “generazione in panchina”. È ancora così?
La voglia di partecipazione c’è, è molto ampia. È voglia di contare, che andrebbe valorizzata in esperienze positive che possono fare anche nel volontariato. Perché c’è un impegno politico che è generale e non si configura necessariamente in senso elettorale o partitico. C’è una generazione che ha voglia di capire meglio il mondo ed essere coinvolta nei processi di miglioramento della realtà. Per non essere schiacciata o ai margini deve trovare le forme perché questo protagonismo positivo possa esprimersi. Oggi è come se fosse ancora in sospeso, non le avesse ancora trovate. Anche perché si trova di fronte a interlocutori e un’offerta politica che finora sono stati poco credibili. Ricostruire una fiducia che passa anche per far contare di più i giovani attraverso il voto è un primo segnale. Ma bisogna costruire un supporto di consapevolezza e responsabilità in maniera sistematica, con un’educazione alla cittadinanza che non sia quella del passato ma più in linea con le sensibilità delle nuove generazioni.
Le nuove generazioni, mai come in passato, si formano e informano sulla rete e attraverso i social network. Nella prospettiva di un maggior coinvolgimento Lei pensa sia un rischio o un’opportunità?
Entrambe le cose. La rete ha già dimostrato di poter veicolare fake news, di essere utilizzata contro e non a favore; però è un dato di fatto che l’importanza della rete è crescente, in tutte le età. Far diventare la rete uno strumento positivo anche di partecipazione, di formazione, di condivisione con momenti all’interno dell’educazione alla cittadinanza che facciano capire come l’e-participation, cioè la partecipazione attraverso nuovi strumenti e modalità di comunicazione, possa essere usata positivamente va nella direzione di migliorare ciò che si offre ai giovani per contare di più e poterlo fare con processi qualificati e partecipativi. In alternativa, se non facciamo nulla, se non miglioriamo la loro consapevolezza e la loro responsabilità, non miglioriamo la loro partecipazione alla cittadinanza attiva e ci troveremo 18enni che arrivano al voto immaturi e che votano così come capita.