Tre domande sul voto e dopo-voto. Cosa succederà dopo il 26 maggio?
Sono quesiti per molti aspetti intrecciati tra loro. E le risposte non discendono da imponderabili convergenze astrali, ma sono affidate alla partecipazione degli elettori, alle loro opzioni concrete e al loro senso di responsabilità. E' legittimo, anzi, doveroso interrogarsi sul dopo elezioni. Ben sapendo però che il dopo dipende da quel che si sceglierà oggi.
L’intensità per certi versi inedita con cui si pongono gli interrogativi sul dopo è direttamente proporzionale alla rilevanza assunta da queste elezioni europee. Il fervore degli inizi (la prima tornata è stata effettuata nel 1979) negli anni è stato via via soppiantato da uno scetticismo talvolta sconfinante nell’indifferenza, così che nel passato più recente l’appuntamento con il voto per il Parlamento europeo è finito spesso per ridursi a una sorta di megasondaggio sulle opinioni degli elettori nei singoli Paesi. Stavolta pare di cogliere una percezione diversa e non è arbitraria la speranza che essa possa tradursi anche in una ripresa della partecipazione.
L’Europa è percorsa da tensioni profonde. Il dibattito sui futuri assetti dell’Unione non è circoscritto al confronto tra diverse interpretazioni del suo sviluppo, ma investe le sue fondamenta culturali. Gli stessi principi di libertà, solidarietà, rispetto dei diritti, non appaiono più come la premessa condivisa di ogni ragionamento, ma sono oggetto di una delegittimazione sistematica. Le spinte xenofobe, le tentazioni illiberali, sono la faccia più inquietante di quel “sovranismo” che, al di là di ogni distinguo, è in buona sostanza la riedizione aggiornata del nazionalismo nell’era della globalizzazione. E allora tornano alla mente le parole di don Luigi Sturzo che nel 1924 così scriveva: “La teoria e il sistema nazionalista porta un capovolgimento di valori morali, sì da negare l’affratellamento e la libertà dei popoli, per esaltare l’idea di nazione che diviene un bene per sé stante, e quindi un idolo”.
La domanda sul futuro dell’Europa si associa a quella sul futuro dell’Italia nell’Europa. L’isolamento che il nostro Paese ha già sperimentato in questi mesi rischia di rafforzarsi dopo il voto con l’esclusione dai principali processi decisionali e questo, paradossalmente, proprio se la retorica sovranista dovesse diffusamente far presa sugli elettori. Il dramma epocale che sta vivendo la Gran Bretagna dovrebbe essere un antidoto potente in questo senso ma purtroppo non è detto. Il fatto da considerare è che la via del sovranismo contiene in sé una contraddizione insanabile: le uniche alleanze che consente sono quelle “contro”, perché poi ognuno ha da difendere il proprio recinto e agisce di conseguenza.
La terza domanda che ci si pone in attesa del responso delle urne riguarda le ripercussioni interne. La conflittualità esasperata tra i due partiti di governo continuerà dopo la chiusura dei seggi o è destinata a ricomporsi? Come si ridisegneranno gli equilibri sia all’interno della maggioranza che nell’intero arco delle forze politiche? Le opposizioni riusciranno a rialzare la testa e a mostrare una concreta potenzialità alternativa? Di sicuro c’è che il Paese è in una situazione economica estremamente difficile e ha davanti problemi e scadenze tali da non consentire ulteriori meline o fughe in avanti avventuristiche.
Tre domande su tre livelli, quindi, per molti aspetti intrecciate tra loro. E le risposte non discendono da imponderabili convergenze astrali, ma sono affidate alla partecipazione degli elettori, alle loro opzioni concrete e al loro senso di responsabilità. E’ legittimo, anzi, doveroso interrogarsi sul dopo elezioni. Ben sapendo però che il dopo dipende da quel che si sceglierà oggi.