Sostenibile sì, se umano. Una buona idea può diventare inutile se non nociva, se non sta dentro i parametri della sua stessa “sostenibilità”
Il cotone potrà pure essere organico, ma non ci piace proprio se a filarlo ci sono mani infantili, orari da schiavitù, trattamenti disumanizzanti.
L’insostenibile leggerezza della sostenibilità. La parola d’ordine ormai in ogni cosa è appunto: sostenibilità. Tutto deve essere sostenibile, cioè rispettoso della natura e, se possibile, neutro nei confronti della stessa. Un’idea che è penetrata dentro l’economia e i consumi ad una velocità incredibile, e ora è gara da parte di tutti nel certificare (solitamente autocertificare) la sostenibilità dei propri prodotti e servizi. Una volta erano buoni, belli o “i migliori”; ora anzitutto “sostenibili”.
Una bella idea, che non deve però sconfinare né nell’ideologia né soprattutto nella sua degenerazione, il fanatismo. Perché una buona idea può diventare inutile se non nociva, se non sta dentro i parametri della sua stessa “sostenibilità”.
Un esempio? Non sarebbe sostenibile l’allevamento ovino per produrre la naturalissima lana (sul discorso allevamenti dovremmo aprire a tal proposito una parentesi lunghissima). Meglio i filati artificiali, allora?
Non sarebbe sostenibile la produzione di cotone, materia prima che richiede molta, troppa acqua e che purtroppo è estremamente costosa se coltivata con modalità bio. Meglio la seta, dunque, che ha il solo difetto di costare almeno una trentina di volta di più? E chi se la può permettere? Qualche anima candida con il portafogli estremamente gonfio? E seta artificiale (ahi!) o naturale, previa strage di bachi?
Meglio la verdurina dell’orto, il prodotto di nicchia, il frutto dell’artigianato e del piccolissimo produttore. Ma le masse ancora affamate, come le sfamiamo?
Queste, appunto, sono posizioni radical chic che non fanno i conti con l’umanità, ma solo con il proprio orizzonte. Che in Occidente non è poi così malaccio, ma in Bangladesh…
Insomma dietro il concetto corretto della sostenibilità ambientale, ci sono tante sfumature – anche abbastanza pesanti – che ne fanno più un mantra consumistico, che un’ideale largamente esteso. E vogliamo qui precisare che il cotone potrà pure essere organico, ma non ci piace proprio se a filarlo ci sono mani infantili, orari da schiavitù, trattamenti disumanizzanti. Assieme alla salvaguardia dell’orso polare, vada di pari passo una condizione umana globale che cancelli sfruttamento, fame, morti precoci e orrori vari. È un et-et, non un aut-aut.