Sanatoria migranti, “ecco perché è importante regolarizzare i braccianti agricoli”
Nelle campagne del ragusano, Nicola Arena ha speso 5 mila euro per regolarizzare 9 migranti senza permesso di soggiorno, mettendo in pratica la normativa contenuta nel decreto rilancio. “È stato molto oneroso, ma almeno adesso questi ragazzi hanno i documenti, il codice fiscale e un regolare contratto, e possono godere di tutti i loro diritti”
“Per regolarizzare nove migranti ho speso circa 5 mila euro: è stato uno sforzo economico non indifferente, ma almeno adesso questi ragazzi hanno i documenti, il codice fiscale e un regolare contratto, e possono godere di tutti i loro diritti”. Nicola Arena è il titolare dell’azienda agricola La Vita Bio, situata nelle campagne di Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa. Produce trasformati: salse, conserve, sottoli, pesti, creme. Per raccogliere i pomodori sul suo terreno, 20 ettari in serra e 6 in pieno campo, Nicola quest’anno ha deciso di assumere nove stranieri che prima non avevano i documenti, mettendo in pratica la normativa sulla regolarizzazione contenuta nel decreto rilancio: da un lato viene regolarizzato il rapporto di lavoro attraverso un contratto, dall’altro si dà alla persona con un permesso di soggiorno scaduto, o senza permesso di soggiorno, la possibilità di ottenerne uno.
“Per trovare i migranti da regolarizzare mi sono appoggiato alla Diaconia Valdese, che si occupa di accoglienza e inclusione e che mi ha dato i contatti di alcuni ragazzi della zona che avevano problemi con il permesso di soggiorno – racconta Arena –. Sono i valdesi che oggi si occupano del trasporto dei lavoratori nei campi, con un pulmino che da Vittoria, dove vivono, li porta nella nostra azienda agricola”.
Ma come sobbarcarsi le spese della regolarizzazione, che ammontano a circa 550 euro per ogni singolo lavoratore? L’azienda agricola di Nicola fa parte della rete No Cap, nata per combattere il caporalato in agricoltura in tutte le sue forme, che insieme a Megamark, operatore della distribuzione organizzata, ha stabilito un prezzo giusto di vendita per i diversi prodotti. “Sono riuscito ad affrontare questa spesa solo grazie al fatto che la mia azienda fa parte di una filiera etica, che riconosce agli agricoltori un prezzo giusto per i loro prodotti – spiega Arena –. Altrimenti, con i prezzi bassissimi pagati dalla grande distribuzione organizzata, non sarei mai riuscito a coprire le spese”.
Ed è proprio per creare i presupposti per una nuova filiera etica che nasce No Cap, che da un movimento spontaneo nel 2017 è diventata un’associazione. Oggi No Cap promuove le aziende che rispettano la legalità e i diritti dei lavoratori attraverso una filiera etica certificata. “La chiave è l'alleanza tra lavoratori, agricoltori, distributori e consumatori – afferma Yvan Sagnet, presidente dell’associazione No Cap –. Se il consumatore non viene coinvolto, assumendo maggiore consapevolezza, e il distributore non riconosce il prezzo giusto all'agricoltore, non c'è nessuna repressione nei confronti dei caporali e degli agricoltori che tenga. Bisogna intervenire sul modello produttivo ed economico: solo così sarà possibile creare una filiera pulita, che riesce a garantire il giusto prezzo agli agricoltori, rendendo sostenibile la loro attività”.
Il ragusano è un territorio in cui la criminalità organizzata si intreccia con il lavoro nero, il sotto salario e il ricatto sessuale delle braccianti straniere. Qui la paga media è di 3 euro l’ora, a fronte degli 8 previsti dal contratto provinciale. E circa la metà della manodopera proviene dai centri di accoglienza per migranti: si tratta di lavoratori vulnerabili, sottoposti al ricatto del permesso di soggiorno.
“Se non ci fossero quei centri di accoglienza, l'intero comparto agricolo del ragusano crollerebbe – afferma Sagnet –. Ecco perché la regolarizzazione dei lavoratori stranieri è così importante: all’interno della rete No Cap sono stati circa 30 i migranti regolarizzati, grazie alla visione di produttori che hanno sempre messo, prima del profitto, la dignità umana e i diritti. Complessivamente, però, la regolarizzazione in agricoltura è stato un mezzo flop, perché gli agricoltori non sono stati abbastanza coinvolti e perché il costo economico era troppo elevato. Perché mai un imprenditore dovrebbe spendere 500 euro per regolarizzazione un rapporto di lavoro ex novo con un lavoratore con cui prima non ha avuto nessun legame? Su questo aspetto, la norma è stata scritta male. E questo ha scoraggiato molti agricoltori”.
Alice Facchini