Salvini, la democrazia e i “pieni poteri”
Se la forma è sostanza, è difficile far passare sotto silenzio le modalità con cui Matteo Salvini ha definitivamente chiarito le sue intenzioni. «Chiedo agli italiani se ne hanno la voglia di darmi pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso di fare fino in fondo». Ora, la democrazia parlamentare è un sistema tanto bello quanto fragile, che non si esaurisce nel voto. E i pieni poteri, sono prerogativa dei dittatori. Non dei presidenti del consiglio.
Passi per una crisi di governo aperta nel pieno dell’estate.
Passi per la richiesta di riaprire il Parlamento a ferragosto per certificare la fine dell’esperienza gialloverde al governo. Anzi, meglio una crisi sancita da un voto, speriamo accompagnato da un bel dibattito che sappia andare oltre gli slogan e aiuti gli italiani a capire quali scenari sono oggi sul tavolo, che un presidente del Consiglio costretto a salire al Quirinale e rassegnare le dimissioni solo perché il suo vice gli ha dato un avviso di sfratto.
Ma se la forma è sostanza, è difficile far passare sotto silenzio le modalità con cui Matteo Salvini ha definitivamente chiarito le sue intenzioni dialogando con i giornalisti a Pescara, dove ha chiuso con un comizio la giornata più lunga e difficile di questo ultimo anno.
«Non sono nato per scaldare le poltrone – ha ribadito – Chiedo agli italiani se ne hanno la voglia di darmi pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso di fare fino in fondo e senza rallentamenti e palle al piede».
Certo, ogni dichiarazione va sempre letta tenendo conto del contesto. Ma è proprio quando si vivono momenti eccezionali, e magari cadono i freni inibitori, che si manifesta appieno il carattere di un politico.
Ora, la democrazia parlamentare è un sistema tanto bello quanto fragile.
Ci siamo purtroppo abituati, e non da oggi, a vedere le sue regole maltrattate, come un lenzuolo tirato da una parte e dall’altra fin quasi a strapparsi.
Abbiamo assistito, e non da oggi, a parlamenti progressivamente svuotati della loro funzione legislativa e diventati ostaggio di decreti governativi e di voti di fiducia a ripetizione.
Abbiamo visto le leggi elettorali cambiare di volta in volta secondo i (presunti) interessi della parte più forte, spesso a pochi mesi dal voto.
Ma c’è un limite che non può essere oltrepassato a cuor leggero.
La democrazia non si esaurisce nel voto. È fatta di un delicato equilibrio tra poteri e corpi dello stato, tra governo e parlamento, tra stato centrale e autonomie locali, tra politica e magistratura. Ed è fatta anche di sobrietà nell’uso delle parole, a maggior ragione in un tempo dominato dal potere pervasivo dei social network.
Chiedere «pieni poteri» significa disconoscere tutto ciò. E poco importa se li si chiede agli italiani convocandoli alle urne. I pieni poteri sono prerogativa dei dittatori, non dei presidenti del consiglio.
Chi si vede già a palazzo Chigi per Natale, non evochi precedenti quantomeno imbarazzanti.
Ma anche chi ha vinto un anno fa e oggi si trova all’angolo, rifletta sul valore e sul senso di quel Parlamento che voleva «aprire come una scatola di tonno» in nome delle consultazioni online e dell’“uno vale uno”.
E chi è stato finora all’opposizione, cerchi di offrire agli elettori un’alternativa credibile.