Ragazzi sui binari per un selfie: Toro (esperta), “pensano ‘più like ricevo, più esisto'”
Selfie estremi, sfide pericolose fino alla morte. L’ultima di una lunga serie quella di quattro ragazzini, ieri a Bologna, sui binari dell’alta velocità. Tragedia evitata dalla prontezza di riflessi del macchinista.
“Sono alla disperata ricerca di visibilità e non hanno l’esatta percezione della loro corporeità e dei rischi che corrono”, spiega in un’intervista al Sir Maria Beatrice Toro, docente di psicologia di comunità di comunità presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium. “Le gare spericolate in auto o in moto avvenivano anche in passato – afferma -, ma qui si tratta di ragazzini che non sanno valutare il movimento del proprio corpo nello spazio, l’effettività delle loro azioni. Cresciuti per lo più in casa davanti alla consolle o al pc, hanno poca dimestichezza con una realtà diversa da quella del computer o del telefonino. Le uniche ferite che conoscono sono quelle dei videogame dove si muore e si rinasce, si ri-muore e si rinasce ancora. In tutto questo c’è una tragica e fatale inesperienza”. Un mix cui si aggiunge la spasmodica ricerca di “qualcosa di dirompente per farsi notare e ascoltare in un mondo fatto di milioni di voci: esisto solo se qualcuno mi vede, e più like ricevo, più esisto”. Insomma un disperato bisogno di attenzione, che è quasi opprimente nell’infanzia e poi viene gradualmente meno da parte di genitori “spiazzati” dalle ribellioni adolescenziali e schiacciati tra impegno lavorativo, cura di figli adolescenti e accudimento di genitori anziani. I regali non servono, avverte l’esperta; occorre piuttosto “una presenza costante, semplice, discreta, nella vita ordinaria di tutti i giorni”. E attenzione ai “campanelli d’allarme” che non vanno trascurati.
Per prevenire i comportamenti adolescenziali a rischio, Maria Beatrice Toro consiglia ai genitori “una presenza non invadente ma costante, costruita negli anni avviando il dialogo con i figli fin da piccoli, stabilendo regole chiare, modulando i tempi con i loro, rispettando i loro spazi ma osservandoli, accompagnandoli e andandoli a riprendere nelle loro prime uscite serali” perché “a 14-15 anni niente mini car né rientro libero la sera”. Importante fare rete stringendo “alleanze con altri genitori, insegnanti, catechisti” che “possano allertarli se colgono segnali o campanelli d’allarme che a loro possono sfuggire. Sono i ragazzi fragili quelli più a rischio: se un adolescente non è ben integrato nel gruppo, va male a scuola, non mangia, dorme male sta esprimendo segnali di disagio da non trascurare. Preziosa anche l’alleanza con fratelli e sorelle più grandi, cugini e, se ci sono, zii e zie più giovani perché spesso i ragazzi ascoltano più volentieri loro che i genitori. Ma questi ultimi non sono onnipotenti: di fronte ad un figlio che non esce, si isola, dà segni di sofferenza, occorre avere il coraggio di chiedere un aiuto anche specialistico”.
“Viviamo in una società difficile – conclude -: per i ragazzi più vulnerabili occorre costruire un cordone sanitario; un recinto di amore, affettività, presenza, sostegno, l’unica cosa che può salvarli”.