Parole che uniscono. La pace, la preghiera e i vocabolari delle piazze
La pace non è una parola divisiva, da nessuno dovrebbe essere intesa come tale: lo ricordano ogni giorno le persone uccise, torturate, ferite, private dei loro diritti.
La parola “pace” risuona con tonalità diverse nelle piazze delle città opponendosi al lugubre e monotono rumore delle guerre. Suoni diversi che lasciano aperte le preoccupazioni, le angosce, le domande. C’è amarezza nel vedere divisioni e distinzioni su un male che sta sconvolgendo il mondo.
La pace non è una parola divisiva, da nessuno dovrebbe essere intesa come tale: lo ricordano ogni giorno le persone uccise, torturate, ferite, private dei loro diritti.
Eppure questo rischio si è corso e si corre rendendo più difficile il cammino in un triste momento storico e rendendo più incerti i passi verso un irrinunciabile dialogo.
Permane l’illusione che l’uomo possa raggiungere la pace esclusivamente con le proprie risorse.
Ancora una volta si fa strada la convinzione che per fermare le guerre basti la forza della ragione quando si assiste a una eclissi totale della ragione in coloro che provocano i conflitti armati e in quanti li giustificano.
Ingarbugliato e contradditorio l’uomo rischia di ritrovarsi all’ingresso del labirinto convinto di essere all’uscita.
Spesso il rischio diventa un dato di fatto.
Torna allora il pensiero di uno dei pochi uomini di pace che oggi sono nel mondo e i cui insistenti appelli vengono volentieri citati ma non altrettanto volentieri accolti e tradotti in azioni.
Il primo appello di papa Francesco è quello alla preghiera per la pace. Non è un richiamo generico e lontano dalla concretezza ma è la consapevolezza che la preghiera indica il sentiero della pace sul quale c’è Qualcuno che accompagna l’uomo e lo guida quando scende il buio.
La preghiera è la parola che costruisce il dialogo tra l’uomo e Dio, è la parola che sostanzia le altre parole, che dialoga con la ragione, che ha il respiro della libertà e della responsabilità, che nella sua fragilità dà energia al pensiero e all’azione.
Nella preghiera, dice Francesco, si comprende che “se non si smette di distinguere in modo manicheo chi è buono e chi è cattivo, se non ci si sforza di collaborare per il bene di tutti” ci saranno “amare conseguenze”.
Giorgio La Pira il 17 agosto 1959, dopo la sosta alle reliquie di san Sergio, entra al Cremlino e dice: “Credo nella forza storica della preghiera. Quindi secondo questa logica ho deciso di dare un contributo alla coesistenza pacifica est-ovest, come dice il signor Krusciov, facendo un ponte di preghiera fra Occidente e Oriente per sostenere come posso la grande edificazione di pace nella quale tutti siamo impegnati”.
La preghiera non è una fuga dalla storia, è l’entrare dell’uomo nella storia perché non si smarrisca il sentiero di Isaia il sentiero della pace così caro a La Pira.