Nuovo Dpcm, la questione di fondo rimane la tenuta unitaria del Paese
Il nuovo Dpcm firmato da Giuseppe Conte, al di là di tanti dettagli pur rilevanti, segna una svolta nella strategia per combattere i contagi. In occasione della prima ondata della pandemia si arrivò a un lockdown nazionale dopo interventi forti ma per aree limitate. Stavolta le prime restrizioni sono state generalizzate ma relativamente lievi e l'affondo è avvenuto modulando le misure secondo tre grandi fasce di rischio. A volte la necessità di raccontare il giorno per giorno della politica può creare illusioni ottiche, ma a ben vedere la linea del fare di tutto, compresi i lockdown parziali, prima di arrendersi alla necessità di un nuovo blocco totale è stata quella sostenuta dal presidente del Consiglio sin dall'inizio
Il nuovo Dpcm firmato da Giuseppe Conte, al di là di tanti dettagli pur rilevanti, segna una svolta nella strategia per combattere i contagi. In occasione della prima ondata della pandemia si arrivò a un lockdown nazionale dopo interventi forti ma per aree limitate. Stavolta le prime restrizioni sono state generalizzate ma relativamente lievi e l’affondo è avvenuto modulando le misure secondo tre grandi fasce di rischio. A volte la necessità di raccontare il giorno per giorno della politica può creare illusioni ottiche, ma a ben vedere la linea del fare di tutto, compresi i lockdown parziali, prima di arrendersi alla necessità di un nuovo blocco totale è stata quella sostenuta dal presidente del Consiglio sin dall’inizio.
Con l’obiettivo di conciliare fin dove possibile la tutela della salute e una ripresa economica che ha cominciato a dare segnali addirittura superiori alle più ottimistiche previsioni, potendo contare a livello sanitario su dotazioni non comparabili con la scorsa primavera, quando mancavano persino le mascherine perché in Italia nessuno le produceva.
Il che non deve suonare come una giustificazione per tutto quel che Governo e Regioni potevano fare di meglio e non hanno fatto: è semplicemente una considerazione realistica.
Se Conte ha tenuto la rotta e si è assunto una responsabilità politica da far tremare le vene ai polsi,
sono state piuttosto le Regioni ad avere un atteggiamento schizofrenico.
Prima hanno rivendicato orgogliosamente (e talvolta a sproposito) la loro autonomia e poi, vista la mala parata dei contagi e il rischio di doversi far carico di restrizioni ritenute impopolari, hanno preteso che il lockdown fosse nazionale. In seguito, di fronte alla soluzione individuata dall’esecutivo che indica nel ministro della Salute l’autorità chiamata a collocare le Regioni nelle diverse fasce di rischio sulla base di una serie di dati oggettivi, hanno protestato dichiarando di essere state esautorate e chiedendo di poter avere un contraddittorio sulle valutazioni ministeriali. Al che il ministro Roberto Speranza e il titolare degli Affari regionali, Francesco Boccia, hanno scritto ai rappresentanti delle Regioni per ricordare che esse sono già coinvolte attraverso la partecipazione alla “cabina di regia” e che nel Dpcm è esplicitamente previsto che le decisioni sulle fasce avvengano “sentiti i presidenti della Regioni interessate”. Un aiuto a disinnescare le polemiche verrà da un ulteriore provvedimento per i ristori destinati a compensare la chiusura forzata di alcune attività, ma i passaggi tecnici sono complessi anche perché il Governo vorrebbe evitare di ricorrere a un nuovo scostamento di bilancio.
La questione di fondo però rimane la tenuta unitaria del Paese.
La divisione delle Regioni in fasce di rischio risponde a una precisa strategia di prevenzione ed è stata perseguita con criteri di equilibrio e proporzionalità (sempre opinabili, ovviamente). Ma va a sovrapporsi a una situazione in cui rispetto alla pandemia si riscontrano almeno tre linee di frattura economico-sociale: quella generazionale tra giovani e anziani; quella lavorativa, tra protetti e non garantiti; quella imprenditoriale, tra piccoli e grandi soggetti.
Che la preoccupazione per la coesione degli italiani di fronte a una sfida epocale sia profondamente motivata, lo dimostra anche la mobilitazione (se così si può dire) del presidente della Repubblica che sta mettendo in campo tutta la sua autorità per agevolare il dialogo e stimolare lo spirito unitario. Sempre con una scrupolosa attenzione al dettato costituzionale, parole e gesti di Sergio Mattarella hanno assunto in questi giorni un’intensità tutta particolare.
Anche oggi, Festa delle forze armate e Giornata dell’unità nazionale, il capo dello Stato ha colto l’occasione del tradizionale messaggio al mondo militare per ricordare i “nostri doveri di cittadini”, da adempiere “a maggior ragione nei momenti difficili come quello attuale, che richiedono responsabilità, determinazione, probità”.
Ma già domenica aveva accompagnato il gesto dell’omaggio alle vittime del Covid nel cimitero di Castegnato con l’invito a mettere da parte “partigianerie, protagonismi, egoismi, per unire gli sforzi, di tutti e di ciascuno – quale che sia il suo ruolo e quali che siano le sue convinzioni – nell’obiettivo comune di difendere la salute delle persone e di assicurare la ripresa del nostro Paese”. Lunedì ha poi avuto un colloquio in videoconferenza con il presidente e il vicepresidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini e Giovanni Toti, e ieri ha ricevuto al Quirinale i presidenti dei due rami del Parlamento, Maria Elisabetta Alberto Casellati e Roberto Fico. Nel primo caso Mattarella ha voluto raccomandare alle Regioni, nel momento in cui ne sottolineava l’importanza, la leale collaborazione con le istituzioni centrali. Nel secondo ha incoraggiato i due presidenti a trovare momenti e sedi per favorire il dialogo tra maggioranza e opposizione. Qualcosa si è mosso nel dibattito parlamentare di lunedì in cui Conte ha presentato preventivamente le linee del nuovo Dpcm.
C’è stato un voto incrociato di maggioranza e opposizione su parti delle rispettive mozioni e sarebbe veramente da irresponsabili lasciar cadere questo pur piccolo segnale.