Mons. Santoro su ArcelorMittal ed ex Ilva: trovare soluzioni per Taranto, per i cittadini e per i lavoratori
Occorre uno sforzo di rinnovata analisi e di creatività per far nascere posti di lavoro stabili. Se si decide poi per il ridimensionamento della fabbrica si deve “pre-vedere” un piano di graduale occupazione delle diverse migliaia di persone in questo territorio. Queste, lasciando il siderurgico, dovranno poter usufruire di nuovi investimenti, per sviluppare anche il terziario, una agricoltura di eccellenza, l’utilizzo delle risorse del mare e il turismo. Diversamente continueremmo nella stessa paralisi attuale accontentandoci di false soluzioni con ammortizzatori sociali che durerebbero 10-20 anni, senza creare nuova occupazione, non rispettando così la dignità della persona umana che si realizza nel lavoro
Leggo con non poca preoccupazione le ultime notizie relative al comunicato di Arcelor Mittal in merito allo stabilimento tarantino. Non ne sono sorpreso, c’erano stati già segnali che avrebbero dovuto essere colti e non lo sono stati. Taranto è una città che soffre per la mancanza di opportunità per i giovani che continuano ad andare via per realizzare le proprie aspirazioni, non possiamo permetterci di sacrificare altri posti di lavoro. I toni perentori poco si addicono al rapporto tra le parti che dovrebbe essere invece caratterizzato da buon senso e responsabilità. Non si possono chiedere “le mani libere” quando in gioco ci sono la salute e il futuro di tante persone, di un’intera città e della sua provincia. Abbiamo già subito con la precedente proprietà i frutti amari e velenosi di uno sviluppo legato esclusivamente al profitto. Certo, cambiare le condizioni in corso d’opera ha dato ad AM il pretesto per rimettere in discussione l’accordo che con così tanta fatica era stato sottoscritto dalle parti.
Tutta la vicenda è stata gestita con approssimazione e demagogia: parliamo dell’acciaieria più grande d’Europa, avremmo avuto bisogno di lungimiranza e senso di responsabilità.
Altresì leggo strumentalizzazioni politiche che non favoriscono la comprensione di un problema complesso: è stata la Magistratura ad adottare i provvedimenti di sequestro degli impianti non a norma e il provvedimento che abolirebbe lo “scudo penale” presente nel Decreto salva imprese è al vaglio della Corte Costituzionale perché sempre la Magistratura ne ha richiesto il giudizio di legittimità. Sono invece molto preoccupato per quello che potrebbe accadere, rischiamo che all’emergenza ambientale, tuttora ben lontana dall’essere risolta, si aggiunga quella sociale.
Tutta la vicenda è stata gestita con approssimazione e demagogia: parliamo dell’acciaieria più grande d’Europa, avremmo avuto bisogno di lungimiranza e senso di responsabilità.
Altresì leggo strumentalizzazioni politiche che non favoriscono la comprensione di un problema complesso: è stata la Magistratura ad adottare i provvedimenti di sequestro degli impianti non a norma e il provvedimento che abolirebbe lo “scudo penale” presente nel Decreto salva imprese è al vaglio della Corte Costituzionale perché sempre la Magistratura ne ha richiesto il giudizio di legittimità. Sono invece molto preoccupato per quello che potrebbe accadere, rischiamo che all’emergenza ambientale, tuttora ben lontana dall’essere risolta, si aggiunga quella sociale.
Siamo al punto in cui sono diventate intollerabili i giochetti della politica per lucrare il consenso.
L’attuazione del Piano ambientale è possibile solo utilizzando risorse rivenienti dai bilanci dell’acciaieria e non possiamo condannare alla cassa integrazione prima e alla disoccupazione poi gli operai che si andrebbero ad aggiungere ai tanti disoccupati per i quali non si trova soluzione. Occorre uno sforzo di rinnovata analisi e di creatività per far nascere posti di lavoro stabili. Se si decide poi per il ridimensionamento della fabbrica si deve “pre-vedere” un piano di graduale occupazione delle diverse migliaia di persone in questo territorio. Queste, lasciando il siderurgico, dovranno poter usufruire di nuovi investimenti, per sviluppare anche il terziario, una agricoltura di eccellenza, l’utilizzo delle risorse del mare e il turismo. Diversamente continueremmo nella stessa paralisi attuale accontentandoci di false soluzioni con ammortizzatori sociali che durerebbero 10-20 anni, senza creare nuova occupazione, non rispettando così la dignità della persona umana che si realizza nel lavoro. Ancora una volta mi ispiro alla Laudato si’ di Papa Francesco e invito tutti i protagonisti di questa estenuante vicenda a perseguire ogni possibile strada conduca a coniugare salute e lavoro in virtù di quella “ecologia integrale” che vede l’uomo protagonista e non schiavo dell’inerzia e della massimizzazione del profitto.
mons. Filippo Santoro
arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione Cei
per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace