Migranti: né invasori né untori, ma “vittime della pandemia. Politica pensi a canali legali”
Intervista a Oliviero Forti, responsabile Immigrazione di Caritas italiana. “La possibilità di entrare legalmente è legata solamente al ricongiungimento familiare e alle richieste d’asilo. Poi si fa fatica ad entrare nel mondo del lavoro, politica pensi a nuovi strumenti per un’immigrazione vantaggiosa”
Sono 5,3 milioni gli stranieri regolarmente residenti nel nostro paese. Il dato, contenuto nel XXIX Rapporto Immigrazione di Caritas e Fondazione Migrantes fotografa una popolazione che rimane uguale negli anni e cresce sempre meno. Spesso ai margini del mondo del lavoro, anche se presenti da anni nel nostro paese, molte famiglie straniere sono in situazione di povertà. Una condizione aggravata dai mesi di lockdown dovuti all’emergenza sanitaria di Covid19. Ne abbiamo parlato con Oliviero Forti, responsabile Immigrazione di Caritas italiana.
Nonostante il dibattito pubblico e politico molto acceso sull’immigrazione in Italia, i dati del Rapporto 2020 ci dicono che la popolazione straniera residente è stabile, con numeri in leggera flessione, e che le comunità straniere presenti sono le stesse da anni. Da cosa dipende?
L’Italia è in controtendenza rispetto al resto del pianeta: i dati Oim ci dicono che a livello mondiale le migrazioni aumentano e in maniera importante. Sono 272 milioni i migranti nel mondo, di cui 70 milioni sono migranti forzati. L’Italia, di contro, registra ormai da qualche anno un dato tendenzialmente stabile, frutto di una serie di dinamiche, innanzitutto di tipo politico. Non si è mai voluto, a livello istituzionale, mettere in campo un dispositivo di ingresso legale nel nostro paese. La possibilità di entrare in Italia legalmente oggi è legata solamente e quasi esclusivamente al ricongiungimento familiare e alle richieste d’asilo. Ma chi arriva nel nostro paese per fare richiesta d’asilo lo fa con i mezzi, anche molto pericolosi, che conosciamo. Questo ha molto ridotto la spinta a venire. Ma non può renderci felici, perché chi arriva per motivi familiari o d’asilo fa più fatica ad entrare nel mercato del lavoro. E questo è un problema anche per il Paese che accoglie. Per questo l'apertura di canali regolari per motivi di lavoro sarebbe auspicabile. In assenza di decreti flussi e dinamiche migratorie definite, infatti, la situazione rimane stabile sia numericamente che a livello di comunità: i romeni sono sempre al primo posto, insieme ad albanesi e marocchini. Su questo sarebbe necessaria una riflessione perché abbiamo le potenzialità per governare una migrazione vantaggiosa sia per chi parte ma anche per chi riceve. Nessuno però, per questioni politiche, ha mai avuto il coraggio di affrontare il tema in quest’ottica.
Il rapporto ci dice anche che l’emergenza sanitaria legata al coronavirus ha pesato particolarmente sulle famiglie straniere, che compaiono con maggiore incidenza tra i cosiddetti “nuovi poveri”
Questo è un tema poco trattato ma di straordinaria importanza. C’è stata la tentazione di dire che i migranti potessero essere dei potenziali untori, noi diciamo che sono stati tra le vittime della pandemia da coronavirus. Essendo una popolazione fragile dal punto di vista socio-economico, l’emergenza sanitaria ha impattato maggiormente su di loro. E questo lo registriamo grazie ai dati della nostre Caritas diocesane in cui sono aumentati gli accessi ai centri d’ascolto. Le richieste sono di chi ha perso il lavoro, di chi faceva un lavoro irregolare o di cura nelle famiglie. L’impatto di tutto questo lo vedremo meglio nei prossimi mesi. Abbiamo segnali preoccupanti anche sul fronte dell’istruzione, tanti giovani studenti di origine straniera non disponevano degli strumenti per comprare un device perché i genitori non ne avevano le disponibilità o non erano avvezzi all’utilizzo. Questo creerà un ritardo scolastico e quelle forme di dispersione che già conosciamo.
Nel dossier si fa anche un bilancio della regolarizzazione dei migranti irregolari voluta dal Governo. La ritenete un’occasione persa?
Sì è stata un’occasione sprecata. L’auspicio era che se ne avvalessero i lavoratori oggi impegnati nel settore agricolo. Noi sappiamo, anche attraverso i nostri progetti come Presidio, che quella è la fetta del mercato del lavoro più vulnerabile in cui si manifestano fenomeni di sfruttamento. I dati della regolarizzazione ci raccontano invece che una minima parte delle domande presentate, intorno al 15 per cento, sono state per agricoltura, che rimane così un ambito ancora scoperto e sul quale bisogna immaginare interventi futuri. Il resto sono state regolarizzazioni per lavoro di cura.
Come considerate le modifiche ai decreti sicurezza dell’ex ministro Salvini e contenute nel nuovo decreto Immigrazione?
Sicuramente per noi è un passo avanti, perché il decreto ha accolto molte delle richieste che abbiamo avanzato in questi anni. Guardiamo con grande favore sia alla parte relativa alla protezione speciale che alla conversione dei permessi di soggiorno per lavoro. Non solo, ma il sistema di accoglienza e integrazione, da oggi denominato Sai, prevede nuovamente misure di integrazione, che erano state eliminate coi decreti Salvini creando precarietà e insicurezza. Rimane il problema legato alle ong, al netto delle misure è il segnale che resta: non c’è stato il coraggio che ci aspettavamo nel riconoscere alle ong quel ruolo strategico come pezzo della società civile fondamentale per tutelare la dignità e la vita delle persone. Anche dal nuovo Patto europeo per le migrazioni ci aspetteremmo un’Europa che rimetta in mare un dispositivo di salvataggio europeo e riconosca alle ong un ruolo di supporto, per un intervento corale su un aspetto fondamentale e che ha a che fare con la vita delle persone.