Le elezioni per il Parlamento europeo. Verso il voto nel 2024
A differenza del voto amministrativo – è imminente una tornata di elezioni comunali come sempre significative per tanti territori e città – quello europeo è un voto dal carattere eminentemente politico.
Sul piano istituzionale tengono banco le scadenze legate al Pnrr ed è giusto che sia così perché si tratta di una sfida epocale per l’Italia. Semmai l’interesse per questa impresa dovrebbe essere ancora più diffuso e coinvolgente, dato che è in gioco il futuro del Paese, non la sorte di questa o quella maggioranza. Ma nella testa dei leader politici c’è anche un’altra scadenza a livello continentale che non da ora condiziona e orienta le strategie e le tattiche, molto più di quanto saltuariamente emerga tra le righe delle cronache quotidiane. Stiamo parlando delle elezioni per il Parlamento europeo. Una data esatta ancora non c’è, ma si sa che si andrà alle urne nella primavera del 2024. La volta precedente, nel 2019, in Italia si votò il 26 maggio. Manca ancora un anno, si dirà, eppure se non si tiene conto di questo appuntamento si rischia di non comprendere il senso di molti comportamenti.
A differenza del voto amministrativo – è imminente una tornata di elezioni comunali come sempre significative per tanti territori e città – quello europeo è un voto dal carattere eminentemente politico. Si vota in tutto il Paese e con il sistema proporzionale, ormai un’eccezione rispetto agli altri livelli elettorali. Questo significa che ogni partito corre in proprio ed è in diretta competizione anche con le forze che in altri contesti appartengono allo stesso schieramento, effettivo o potenziale. Ecco perché i partiti tendono a vivere questo passaggio – che è paragonabile a un voto di metà mandato, il primo “tagliando” nazionale dopo le elezioni politiche del settembre scorso – come una sorta di sondaggio ufficiale sulle rispettive quote di consenso. E’ l’occasione per contarsi, insomma. Nella maggioranza di governo il tema principale saranno gli equilibri nella coalizione, con FdI che dovrà verificare la ricaduta nelle urne della leadership di Giorgia Meloni e gli alleati alle prese con la tenuta rispetto al partner più forte. Nello schieramento opposto verrà meno per una volta (salvo riproporsi subito dopo) lo psicodramma sulle alleanze possibili/impossibili e il tema principale dovrebbe riguardare i rapporti di forza tra Pd e M5S, con l’incognita dell’area centrista. Questo dovrebbe essere verosimilmente il quadro interno, anche se non si escludono sorprese, perché il sistema spiccatamente proporzionale (la proporzionalità è amplificata dalle circoscrizioni molto grandi) può incentivare la sperimentazione di nuovi soggetti politici in quanto consente di ottenere seggi anche con suffragi relativamente ridotti.
Non bisogna dimenticare, però, che si vota per il Parlamento europeo e le elezioni che si terranno quasi contemporaneamente in tutta la Ue incideranno soprattutto sui futuri assetti politico-istituzionali dell’Unione. Forse mai come in questa circostanza queste dinamiche stanno avendo un’incidenza rilevante anche sull’operato dei partiti nazionali, in particolare in casa nostra. I leader delle forze politiche hanno ormai ben capito (magari a dispetto delle dichiarazioni pubbliche) quanto sia importante la dimensione europea e come il posizionamento in questo scenario possa diventare decisivo per le sorti dei governi nazionali. Anche questa è una chiave di lettura ineludibile se si vuole comprendere la politica italiana dei prossimi mesi.