La mia Romagna fragile e quel che le serve per non finire più nel fango
Romagna, territorio fragile. Anzi, ormai fragilissimo. L’alluvione della scorsa settimana, a 16 mesi di distanza dalle due del maggio 2023, ha messo in evidenza come l’area che va dal sud bolognese fino a Rimini sia alquanto vulnerabile agli eventi meteo. Eventi che non sono più quelli di un recente passato, ma che ora si abbattono con inaudita violenza, preceduti da lunghi periodi di siccità cui seguono temporali più simili a uragani che a piogge primaverili o autunnali.
Romagna, territorio fragile. Anzi, ormai fragilissimo. L’alluvione della scorsa settimana, a 16 mesi di distanza dalle due del maggio 2023, ha messo in evidenza come l’area che va dal sud bolognese fino a Rimini sia alquanto vulnerabile agli eventi meteo. Eventi che non sono più quelli di un recente passato, ma che ora si abbattono con inaudita violenza, preceduti da lunghi periodi di siccità cui seguono temporali più simili a uragani che a piogge primaverili o autunnali. Sono gli effetti dei cambiamenti climatici. Gli esperti lo ripetono da tempo. Gli scettici non ci credono, ma geologi, agronomi e studiosi del clima mettono in guardia: con la mutazione delle condizioni meteo, la Romagna è molto più esposta ad allagamenti e frane. Abbiamo tutti negli occhi le immagini dei giorni scorsi, da Modigliana, nelle valli tra Forlì e Faenza, dalla frazione di Bagnacavallo, Traversara. Non vorremmo più assistere a drammi del genere. Come non vorremmo più contare smottamenti come quelli del 2023 il cui ripetersi si è molto temuto nella notte tra mercoledì 18 e giovedì 19 settembre. Una notte vissuta col fiato sospeso per il timore che si riaprissero voragini e crateri come era accaduto l’anno precedente. All’inizio si parlò di 7.000 frane, e parevano tantissime. Con il più recente censimento se ne sono contate ben 81.000. Un numero impressionante per movimenti del terreno che spesso hanno modificato irreversibilmente tracciati e versanti. Noi romagnoli ci siamo scoperti vulnerabili. Da popolo accogliente e sempre volitivo, ora siamo chiamati a fare i conti con una forza della natura che, in questo angolo di terra spesso considerato un piccolo paradiso, negli ultimi decenni non era mai stata sperimentata con questo furore. Nonostante tutto, nonostante la rabbia per il ripetersi degli eventi, la solidarietà si è mostrata subito contagiosa. Ma ora, è bene scriverlo e ricordarlo, gli “angeli del fango” non sono più sufficienti per contrastare eventi atmosferici di questa portata.
Molti si interrogano sul da farsi. I rimpalli di responsabilità si sprecano, in un balletto in cui chi vive queste terre non si ritrova. A tutti due elementi appaiono evidenti, se si cerca di affrontare il tema scevri da pregiudizi e da punti di vista tipici delle tifoserie, in questo caso di parte politica. Il primo riguarda la cura del territorio. La manutenzione ordinaria diventa un dovere per gli amministratori locali e per chi ha competenze specifiche. La regimazione delle acque, la pulizia degli alvei (l’immagine della marea di tronchi tagliati incagliata contro il ponte a Boncellino richiama a precise responsabilità) così come dei fossi non può più essere lasciata alla buona volontà o al caso. Va organizzata, finanziata e mantenuta. E anche sostenuta, quando riguarda i privati. Non sapremo mai quante ore di lavoro per il taglio degli alberi e per la loro rimozione ci avranno salvato da possibili alluvioni, ma su questo costante impegno non ci dovranno essere più tentennamenti né lacune. È quel lavoro quotidiano e necessario di custodia che le continue riduzioni della spesa pubblica hanno reso sempre più sporadici.
Il secondo aspetto ha a che fare con gli interventi di lunga gittata che si devono mettere in campo, per i quali si sono avviati i progetti, dopo gli effetti devastanti dell’alluvione 2023. Non si può più tergiversare, consapevoli che ci vorranno anni per condurli a termine, ma anche consci che da qualche parte si deve pure iniziare. Si parla, per esempio, di casse di espansione, di ponti da rifare, di dislocazione di insediamenti abitativi e industriali. E di smetterla con la cementificazione. Si tratta di investire sul futuro, sul benessere delle prossime generazioni, incrementando i boschi urbani e le aree verdi. Si tratta in particolare di prendere coscienza che gli eventi verificatisi in Romagna non rimarranno fatti isolati. Costituiscono ormai una normalità con la quale siamo chiamati a confrontarci.
I romagnoli non si abbattono con facilità. Anche stavolta si sono messi subito al lavoro per ripulire cantine e rincuorare gli alluvionati. Hanno indossato stivali e imbracciato badili. Ma non accettano prese in giro. L’ambiente, anzi, il Creato, ha dato segnali importanti. Sarebbe insensato non prenderne atto. Ma non da domani. Da subito, oggi. Per non dover più spalare fango.
Francesco Zanotti*
*Corriere Cesenate