La cura della coscienza. Che posto torneremo a dare alla dimensione spirituale dell'essere?
Bisogna fare attenzione a non dissipare i frutti della quarantena e avere cura di custodirli nel cammino nuovo che stiamo per intraprendere.
Mentre eravamo rinchiusi il tempo comunque ha fatto il suo corso. Le ultime zampate dell’inverno hanno lasciato spazio alla primavera e le giornate sono diventate luminose e lunghe.
La natura nel frattempo ha beneficiato della lunga pausa all’umano brulicare. Tutti noi ci siamo sorpresi nel vedere in rete o sui giornali immagini inconsuete di animali che sconfinavano nello spazio metropolitano e percorrevano strade urbane, o di chiazze di verde che squarciavano tratti di asfalto.
Il tempo è trascorso scandito dal ticchettio dello smartworking, dalle sperimentazioni della didattica a distanza (la cosiddetta DaD), dalle “missioni angoscianti” per la provviste al supermercato, dagli esperimenti di panificazione nelle cucine illuminate, dai pensieri incerti delle persone e dai toni allarmistici dei notiziari e dei bollettini medici delle ore 18.
Ed eccoci di colpo a maggio. Mentre il premier Conte ci fa le ultime raccomandazioni e sollecita il senso civico e la prudenza togliendo i chiavistelli alla nostra libertà, la realtà ci accoglie con le sue scadenze e le sue pressioni. Qualcuno è fermo sulla soglia di casa e quasi quasi ha nostalgia della “maledetta” quarantena.
I nostri ragazzi, invece, si accingono a concludere l’anno scolastico. E’ fresca di stampa l’ordinanza che chiarisce i termini della valutazione di fine quadrimestre e le modalità di svolgimento degli esami di Stato per il primo e il secondo ciclo di istruzione.
Esami sì, esami no. Prove scritte sì, prove scritte no. Presenza, non presenza. Voti, non voti. Dopo il minuetto delle dichiarazioni, delle indiscrezioni e delle smentite arrivano le indicazioni nero su bianco. I maturandi si preparino agli esami orali in presenza e i quattordicenni alla discussione on line d i un “percorso” interdisciplinare.
Qualche giorno fa Vito Mancuso, teologo e scrittore, dalla sua “finestra” spalancata su Facebook ha lanciato una riflessione interessante sulla “scissione contemporanea” fra “materia” e “spirito”. A dire il vero nel suo post chiarisce che si tratta di un dualismo antico, tant’è che il teologo ri-propone la quaestio attraverso le categorie del pensiero cartesiano.
Perché tornare a parlarne proprio ora?
A più riprese e da molteplici voci durante le trascorse settimane è stata evidenziata una certa riscoperta del mondo interiore e della rinnovata dimensione introspettiva che i giorni dell’isolamento ci hanno offerto per elaborare l’evento che scuoteva il nostro “piccolo mondo fatto di cose da fare e da consumare”. Qualcuno ha trovato perfino il coraggio di tornare a nominare la “coscienza”, una delle facoltà più provate dall’avvento del relativismo. E’ stata proprio la coscienza a farci compagnia in queste giornate di separazione e a permetterci di approfondire il senso degli eventi da cui venivano travolti.
Che fine farà ora la cura della coscienza? Che posto torneremo a dare alla dimensione spirituale dell’essere? E, proprio in questo momento in cui i ragazzi tornano ad affrontare “de visu” la scuola, che ruolo riuscirà a conquistarsi all’interno dei percorsi educativi proposti?
Bisogna fare attenzione a non dissipare i frutti della quarantena e avere cura di custodirli nel cammino nuovo che stiamo per intraprendere. Non basterà il “senso civico” a salvarci dalla pandemia, perché abbiamo toccato con mano quante e quali sfaccettature si porta dietro una tale sciagura. Abbiamo sfiorato picchi di intolleranza e di odio, abbiamo attraversato momenti di profondo scoramento e aberrazione, abbiamo avuto bisogno di una forza “speciale” per rinnovare continuamente la linfa vitale all’interno del circuito forzato dell’isolamento.
Senza attingere al lago profondo della nostra coscienza non saremmo riusciti a superare le numerose prove e i momenti di tensione. Proviamo a non dimenticarlo nei prossimi mesi e soprattutto impegniamoci a nutrire questo seme che siamo riusciti quasi miracolosamente a far germogliare nell’animo dei nostri figli.