La corteccia e la carezza. Due notizie su deforestazione e su uno stadio diventato foresta
Nell’incontro della mano con la corteccia scocca una inattesa e sorprendente domanda sull’umanità.
Due notizie nella stessa pagina di un quotidiano nazionale di domenica 8 settembre. La prima è dedicata al grido del Papa che dall’Oceano Indiano ha chiesto di fermare la deforestazione, la seconda racconta di uno stadio in Austria dove i calciatori sono stati sostituti con gli alberi e sugli spalti siedono spettatori che respirano aria pulita nel cuore di una città.
L’allarme sulla deforestazione, che Francesco rilancerà con ancor più forza al Sinodo per l’Amazzonia, e il sorriso di Klaus Littman, ideatore e realizzatore dello stadio-foresta a Klagenfurt racchiudono un messaggio per il futuro dell’uomo che si unisce ad altri, in particolare da quelli che vengono dai giovani.
Sembra impossibile ma il silenzio degli alberi parla. Con un linguaggio del tutto particolare questi esseri viventi, che si slanciano verso il cielo quasi per raggiungerlo e abbracciarlo, dicono che il destino dell’uomo è legato al loro destino.
Non è un linguaggio romantico come si potrebbe pensare: è un linguaggio, di cui molti studiosi della natura hanno più volte scritto, che scaturisce dal terreno, dalle radici, dal cielo, dalle stagioni della vita.
Scrive Christian Bobin: “Mi piace appoggiare la mano sul tronco di un albero davanti al quale passo, non per assicurarmi dell’esistenza dell’albero – di cui non dubito – ma della mia”.
Potrà sembrare un’immagine poetica ma a guardarla con attenzione si ha la conferma che nell’incontro della mano con la corteccia scocca una inattesa e sorprendente domanda sull’ umanità.
Ritrovare il significato di questa carezza, che si compie anche con gli occhi, è il percorso interiore proposto da un’ecologia che non si chiude in un solo colore ma si apre a molti altri.
Si apre a tutti i colori dell’uomo e del mondo, a tutte le loro dimensioni perché l’albero trasmette un’armonia in cui le radici e i rami, la terra e il cielo si incrociano in una umile e straordinaria comunicazione di un “altro” e di un “altrove”.
C’è un’altra immagine che si inserisce in questi pensieri e viene dal libro “L’uomo che piantava gli alberi” di Jean Giono. Un uomo semplice, dalla cultura dell’essenziale, che raramente corrisponde a quella richiamata da chi ama dividere piuttosto che condividere, pone giorno dopo giorno delle ghiande nel terreno arido della montagna fino a trasformarla in una foresta.
Il sogno, realizzato, era quello di restituire all’uomo una bellezza che era stata tolta e di creare la condizione perché potesse ritrovare se stesso, potesse ritrovare il senso del suo essere nel mondo e nella storia. Potesse comprendere che l’inquinamento atmosferico è il frutto amaro dell’inquinamento della coscienza.