La caduta del governo che non ha amato il non profit
Crisi gialloverde, al capolinea l'inedita esperienza Lega-M5S, caratterizzata da un continuo contrasto con il mondo del terzo settore e della solidarietà organizzata. Un anno e poco più di attacchi e accuse, che lascia sul campo incognite pesanti sul futuro
La crisi di governo, più volte annunciata e infine arrivata, mette fine all'anomala esperienza di un esecutivo, quello gialloverde, che nel corso del suo anno e poco più di vita ha visto via via salire il livello di tensione e di diffidenza con il vasto e variegato universo del non profit. Una convivenza difficile, resa estremamente complicata, prima ancora che dal merito dei provvedimenti adottati in questi 14 mesi, dall'atteggiamento e dall'impronta culturale messa in campo dai due principali volti politici del governo: i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio. I toni sprezzanti utilizzati nei confronti dell'azione delle organizzazioni non governative impegnate nel salvataggio di migranti nel mar Mediterraneo, al suon di “taxi del mare” (copyright Di Maio) e di “vice scafisti” (copyright Salvini) sono solo la punta dell'iceberg di una profonda diffidenza – se non avversione – manifestata nel corso del tempo.
DAL "BUSINESS" SUI MIGRANTI ALLE CASE FAMIGLIA
La retorica sui presunti “business”, sulla “pacchia finita”, e sui buoni che fanno i buoni solo per interesse e tornaconto, si è indirizzata – con le ovvie e opportune varianti - non solo verso i migranti e le opere di solidarietà organizzata avviate a loro supporto, ma anche verso altre e ampie categorie di cittadini. E' stato una costante il riferimento all'esistenza di un “business” delle comunità d’accoglienza per i minori fuori famiglia, una precisa scelta politica il sostanziale stop al rafforzamento delle misure alternative alla pena previste nella riforma dell'ordinamento penitenziario, un trascurabile effetto collaterale il fatto che il Reddito di Cittadinanza – cioè il più grande sforzo economico mai compiuto in Italia contro la povertà assoluta – tagliasse fuori o rendesse estremamente difficile la vita alle persone senza dimora, cioè i più poveri fra i poveri. Per non affrontare il tema dei toni utilizzati - principalmente da Salvini, ma non solo - per riferirsi alle persone rom e sinti.
DISABILITÀ E NATALITÀ, IL NULLA DI FATTO
Una delusione, cocente, rispetto all'operato del governo c'è stata nel mondo delle persone con disabilità (che hanno sì visto la nascita di un ministero dedicato, ma non hanno ottenuto significativi progressi della loro condizione, ad iniziare dalla promessa, rimasta tale, di un aumento delle pensioni di invalidità); e sentimenti simili si sono vissuti all'interno dell'associazionismo familiare, diventato protagonista del dibattito politico solo in piena campagna elettorale per le Elezioni europee, con un Piano per il rilancio della natalità in Italia che non ha avuto neppure il tempo di arrivare ad uno stadio embrionale. Persone con disabilità e famiglie con figli che, sia detto per inciso, sono esattamente le due categorie più penalizzate dalle modalità operative con le quali, nel concreto, si è scelto di assegnare le risorse del Reddito di Cittadinanza.
LA "MANGIATOIA": IL SOSPETTO E LA SFIDUCIA
Sulla riduzione dei fondi destinati all'accoglienza dei migranti (il famoso capitolato d'appalto a 35 euro al giorno, ridotto anche della metà), il vicepremier Salvini arrivò – era l'aprile scorso – a prendersela anche con la Caritas, con parole (“La mangiatoia è finita, chi speculava con margini altissimi per fare 'integrazione', spesso con risultati scarsissimi, dovrà cambiare mestiere”) che non potevano non allargare un fossato che già da tempo si era scavato fra il governo a trazione Lega-M5S e il terzo settore. Un mondo peraltro, quest'ultimo, solitamente cauto e molto attento alle esigenze del rispetto istituzionale, ma che di fronte allo stillicidio continuo di accuse ha più volte avuto modo di protestare ad alta voce. L'ultimo esempio, appena quattro giorni fa, con la portavoce del Forum Terzo Settore, Claudia Fiaschi, che all'altro vicepremier, Luigi Di Maio, mandava a dire: “I commenti su fatti di cronaca orribili come quelli di Bibbiano non possono trasformarsi sistematicamente in pretesti per instillare sospetto e sfiducia sull’operato dell’intero mondo del terzo settore italiano. Ingenerare diffidenze verso questo mondo non serve a nessuno e ha come unico effetto quello di mettere a rischio la coesione sociale delle nostre comunità”. E, faceva notare la portavoce del Forum, la legge di riforma del terzo settore ha previsto ampi e variegati sistemi di controllo, di rendicontazione e di trasparenza per gli enti del terzo settore, in un quadro di regole che – se necessario – potrebbero anche essere migliorate.
RIFORMA TERZO SETTORE A PASSO DI LUMACA
Già, la legge di riforma del terzo settore. Eccolo, un altro capitolo rispetto al quale è parso evidente come il feeling fra questo governo e questo pezzo di società non sia mai scattato. Al netto di alcuni limitati interventi e di un decreto correttivo, l'iter dei decreti attuativi della riforma è andato avanti, in quest'ultimo anno, a ritmi da lumaca. All'appello mancano ancora oggi, a distanza di oltre tre anni dall'approvazione della legge delega di riforma (106/2016), una trentina di atti ministeriali, interministeriali o della Presidenza del Consiglio, atti di indirizzo, linee guida. E non su temi trascurabili, perché senza quei provvedimenti gran parte della riforma è destinata a rimanere lettera morta.
TERZO SETTORE IN DIFESA: UN ALLARME DURATO UN ANNO
Il rapporto con il governo, e con il sottosegretario competente, il leghista Claudio Durigon, non solo in questo anno non è mai decollato, ma è dovuto passare anche per una serie di incidenti diplomatici: singole norme, inserite in questo o quel provvedimento, che hanno fatto gridare all'allarme, prima di essere cancellate o soppresse. E' accaduto, per citare solo due esempi, con il raddoppio dell'Ires degli enti non commerciali inserito in legge di bilancio (e poi corretto nel Dl “Semplificazioni”), e con la norma del decreto sul finanziamento dei partiti politici (il cosiddetto “Spazzacorrotti”) che imponeva i costi e gli obblighi dei partiti anche agli enti del non profit che avessero un ex amministratore pubblico in un organo direttivo: norma poi modificata (con esenzione riconosciuta) con il decreto “Crescita”.
CONTE, DI MAIO, SALVINI: IL FUTURO
Di fronte a tutto questo, il clima cordiale che si è sempre respirato in occasione degli incontri di rappresentanti del terzo settore con il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, rappresenta solo un timido squarcio di sereno nel bel mezzo di una lunga tempesta. La crisi di governo apre un nuovo scenario, in piena evoluzione. Il governo resterà in carica per gli affari correnti, la campagna elettorale è alle porte e anzi non si è mai fermata, le urne si apriranno ad ottobre. Qualcuno tornerà a fare la comparsa, ma i due principali interpreti dell'avventura gialloverde continueranno ad essere protagonisti anche nel futuro che verrà.
Stefano Caredda