L’insostenibile pesantezza delle pensioni. Da un pensionato per tre lavoratori stiamo correndo velocemente verso un rapporto uno a uno
Alla fine di questo decennio andranno in pensione tutti i baby boomers, cioè la generazione più corposa della storia repubblicana italiana
Partiamo da un principio “matematico”: se si vive di più, occorre lavorare di più per versare contributi pensionistici sufficienti per garantirci appunto la pensione fino ai saluti finali. E così è successo in tutto il mondo occidentale, con un progressivo innalzamento dell’età pensionabile: l’età media di quiescenza supera abbondantemente i 60 anni un po’ ovunque (65, per la precisione).
In Italia, siamo a quota 62 (le donne meno), con un’asticella che si è alzata drasticamente di oltre un quinquennio dopo la robusta riforma Fornero del 2011. Ma il traguardo finale nel medio periodo è 67-68 anni; oltre i 70 nel lungo.
Se primari ospedalieri e docenti universitari scalpitano per ritirarsi il più tardi possibile – ottime retribuzioni, posizione lavorativa soddisfacente –, il grosso dei lavoratori guarda invece a quel traguardo con altri occhi. E la politica da tempo guarda a quegli occhi con grande interesse, inventandosi scorciatoie ed eccezioni che in sostanza abbassino un po’ l’asticella. Quota 100, 102, 103 (una varia somma tra contributi versati ed età anagrafica); la penalizzante opzione donna; lavori usuranti; pensione di vecchiaia anticipata; prepensionamenti per certe categorie; regimi speciali per militari, forze dell’ordine… Insomma il bazar-previdenza italiana è ben fornito.
Rimane un problema ineludibile: lo Stato liquida assegni pensionistici non coperti da entrate previdenziali. Inutile spiegare perché, paghiamo decenni di regalìe varie. Dentro l’Inps poi si mescola sia la previdenza dei lavoratori, sia l’assistenza sociale. Quindi alla fine è la fiscalità generale a tenere su la baracca.
D’altro canto, è indubbio che sia immorale chiedere a un lavoratore maschio di proseguire oltre i 42 anni abbondanti di occupazione retribuita: l’ergastolo è meno penalizzante. E che ci siano lavori che appunto ti lasciano sfibrato dopo tanti anni; e che una donna – con il carico familiare alle spalle – faccia fatica doppia… Insomma, quelle eccezioni alla regola di cui si parlava.
Il problema è che abbiamo smesso di fare figli. Si risparmia in pannolini e carrozzine, si pregiudica però il nostro futuro. Alla fine di questo decennio andranno in pensione tutti i baby boomers, cioè la generazione più corposa della storia repubblicana italiana. Mentre la generazione che, con il proprio lavoro, dovrà pagare quelle pensioni, è la metà. Da un pensionato per tre lavoratori stiamo correndo velocemente verso un rapporto uno a uno. Semplicemente insostenibile.
Ecco allora le promesse elettorali di regalare bengodi a tutti, salvo poi limare l’esistente nella penombra delle leggi di bilancio: una sforbiciatina alle pensioni dei medici, un innalzamento di opzione donna, un allungamento delle “finestre” di pagamento; insomma tutta una serie di ritocchi per risparmiare spesa previdenziale.
Tacendo la verità. Che è matematica: la denatalità sta addirittura peggiorando, il sistema previdenziale italiano non sta in piedi, non possiamo fare ulteriore debito pubblico come in passato: insomma la coperta è irrimediabilmente corta. La soluzione nel medio periodo è unica: età pensionabile sempre più alta; pensioni parametrate solo ai contributi effettivamente versati; sganciamento dell’assistenza sociale. Soprattutto: vendita di abitazione ereditata per garantirsi una vecchiaia meno misera; o fuga in Paese a basso costo della vita…
A fine secolo, nemmeno questo basterà. Il sospetto? Leggi molto, ma molto favorevoli all’eutanasia. Speriamo di essere smentiti.