L'aumento dell'Iva e la risposta degli italiani. Quell’imposta impopolare
Un aumento dell'Iva innescherà una serie di aumenti dei listini di quasi tutti i prodotti in vendita
È certo e confermato che il dibattito sullo spread, sul Pil, sul deficit e/o il debito pubblico non appassioni la stragrande parte degli italiani. Non turba lo zero virgola in più o in meno, non preoccupa il differenziale con i bund tedeschi o le stime di crescita ballerine; non c’è un particolare senso diffuso di attenzione verso il bene comune. D’altronde siamo italiani, quindi più somma di individui che società.
Proprio per questo i temi fiscali sono più sentiti: incidono direttamente sulle nostre tasche, e non in modo collettivo. In questi anni siamo passati dal “meno tasse per tutti” all’ipotesi di flat tax, ma tutto a livello di slogan perché la pressione fiscale da molto tempo rimane sostanzialmente invariata. Se si taglia un pochino di qua, si alza un pochino di là.
Ma da qualche tempo è tornata in auge l’Iva, quell’aumento (le cosiddette clausole di salvaguardia) di cui nessuno ricorda o capisce perché stia come una spada di Damocle sopra le nostre teste e che, appunto per questo, viene rinviato con un escamotage contabile di anno in anno dai vari governi che si sono succeduti dal 2011 ad oggi. Una mattonata in testa che ha superato oggi i 23 miliardi di euro: l’aumento dell’Iva è il sistema più rapido e sicuro di raggranellare questa cifra che manca ai nostri conti pubblici.
L’Iva è un’imposta indiretta che si applica appunto sul valore aggiunto di ogni fase della produzione e di scambio di beni e servizi. Colpisce tutti indistintamente, quindi è molto “democratica”: colpisce proporzionalmente, a seconda di quanto si acquista un determinato bene o servizio. È anche una delle imposte più evase in Italia: la fantasia dei nostri connazionali nell’aggirarla e nel frodarla non conosce limiti.
Di brutto ha che aggrava il costo appunto di ogni cosa che acquistiamo, dall’acqua minerale alla prestazione dell’idraulico. Già ora è differenziata in varie aliquote: più basse per i beni di largo consumo, fino al 22% per quelli considerati più “voluttuari” e per le prestazioni lavorative. Quindi i 10mila euro da pagare diventano, con l’Iva, 12.200. E diventeranno 12.500 se l’aliquota massima dovesse alzarsi fino al 25%.
Questo innescherà una serie di aumenti dei listini di quasi tutti i prodotti in vendita: difficilmente innescherà fenomeni inflattivi quasi inesistenti oggidì in Italia, ma comunque peserà sulle tasche di tutti noi. E, purtroppo, aggraverà il fenomeno dell’evasione fiscale, che diventerà sempre più “conveniente” per tutti. Il famoso “dottò, son mille più Iva” stimolerà moltissimi a chiudere il discorso con i mille, in mano e senza fattura.
Ecco perché, tra l’altro, si cercano strade differenti rispetto a un aumento indiscriminato. Ci sarebbe quella del taglio della spesa pubblica, e in questi anni si sono succeduti gli esperti chiamati dai governi a stilare liste dei costi sacrificabili. Liste rigorosamente ricevute e messe in un cassetto: perché il consenso politico, in Italia, non passa attraverso la serietà, ma tramite la distribuzione a questo o quello.