Criptovalute, Coinbase vale 100 miliardi di dollari. O nulla
Sarà anche vero che a Wall Street "hanno quotato il nulla certificato dal nulla” (commento dell'ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti). Eppure investitori grandi e piccoli stanno comprando azioni allineandosi a una ipervalutazione di Coinbase che ha premiato gli azionisti già esistenti. La piattaforma di negoziazione dove si scambiano i Bitcoin e altre decine di cosiddette criptovalute vale, almeno secondo i prezzi raggiunti al Nasdaq di New York , poco meno di 100 miliardi di dollari. Vale a dire la metà dei soldi assegnati all'Italia per il Recovery Fund. Coinbase presenta molte caratteristiche delle “valute” che vi vengono quotate, sono le criptovalute (non stampate fisicamente, frutto di algoritmi, non hanno regolamentazione e non sono garantite da riserve in oro anche se in ogni pubblicità vengono sempre accomunate al metallo giallo), un termine già ambiguo
Sarà anche vero che a Wall Street “hanno quotato il nulla certificato dal nulla” (commento dell’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti). Eppure investitori grandi e piccoli stanno comprando azioni allineandosi a una ipervalutazione di Coinbase che ha premiato gli azionisti già esistenti.
La piattaforma di negoziazione dove si scambiano i Bitcoin e altre decine di cosiddette criptovalute vale, almeno secondo i prezzi raggiunti al Nasdaq di New York , poco meno di 100 miliardi di dollari.
Vale a dire la metà dei soldi assegnati all’Italia per il Recovery Fund.
La finanza scollegata alla produzione ci ha abituato a fare a meno dei fatturati e degli utili degli anni precedenti e sfrutta il criterio degli utili attesi o dei titoli confrontabili. Gli utili attesi sono quelli che i manager dichiarano per i prossimi anni e vengono accettati dagli analisti che diffondono consigli sui titoli da comprare o da vendere.
Il meccanismo dei titoli confrontabili è quello che porta a fissare una valutazione sulla base di altre aziende simili, si aggiunge così una nuova valutazione allo stesso livello. Ognuno accredita l’altro.
Con il denaro a prestito poco costoso, come in questo periodo di tassi di interessi bassi, gli operatori finanziari rischiano su alcune scommesse finanziarie anche se bizzarre. Tutte condizioni che possono produrre una “bolla”, il prezzo di un’azione si gonfia fino a scoppiare in mano a chi ha i titoli in quel momento. Chi è fuggito in tempo si tiene i guadagni.
Coinbase presenta molte caratteristiche delle “valute” che vi vengono quotate, sono le criptovalute (non stampate fisicamente, frutto di algoritmi, non hanno regolamentazione e non sono garantite da riserve in oro anche se in ogni pubblicità vengono sempre accomunate al metallo giallo), un termine già ambiguo.
Non è un ambiente per famiglie o per piccoli risparmiatori, crea ansia.
I prezzi del Bitcoin subiscono grandi variazioni durante l’anno (è arrivato a perdere in pochi mesi fino al 40% per poi tornare a livelli record) eppure tanti ragazzi si sono impegnati a lavorare sui computer per estrarre dagli algoritmi nuovi Bitcoin con l’illusione che si possa vivere di sola finanza. Lavoro pesante ed ecologicamente poco sostenibile; l’elettricità necessaria per far funzionare i grandi server che memorizzano tutte le transazioni elaborate e immagazzinate in un immenso libro mastro elettronico (blockchain), è superiore a quella dell’intera Argentina che ha 45 milioni di abitanti.
Le banche centrali (la Fed negli Usa, la Bce in Europa e le altre in giro per il mondo) non amano quelli che vengono definiti solo “strumenti di investimento” e non valute al pari del dollaro, dell’euro o dello yen.
Per ora quei mezzi di pagamento digitali sfuggono ai controlli e non vengono accettati da tutti. In qualche caso sono stati utilizzati per attività illegali.
Coinbase vale quasi 100 miliardi dollari per chi ritiene che il mondo degli strumenti digitali entrerà a pieno titolo fra le valute riconosciute per gli acquisti e per i contratti commerciali. Per chi è scettico vale poco più di nulla.