L’abbandono precoce degli studi. Le conseguenze dei fallimenti scolastici non sono un fatto privato: essi riguardano l’intera collettività
In Italia i dati sulla dispersione scolastica sono ancora piuttosto allarmanti: nel 2021 l’indicatore degli Early leavers from education and training (Elet) ammontava al 12,7%.
Mentre l’anno scolastico 2022-‘23 si avvia verso la sua conclusione si torna a parlare di abbandono precoce degli studi e di orientamento.
Pare che anche quest’anno un numero non trascurabile di studenti abbia deciso per un cambio “in corsa” di indirizzo. Il fenomeno riguarda soprattutto il biennio, quando i ragazzi sono ancora nel tratto dell’obbligo, previsto fino al compimento dei sedici anni.
Sbagliare indirizzo può succedere, certo. In genere avviene perché si è sottovalutato il carico dell’impegno che, ad esempio, un liceo prevede, oppure perché si scopre di non avere reale attitudine per le discipline del percorso intrapreso. Si tratta senz’altro di un errore riconducibile all’immaturità dei discenti, ma il “baco” della scelta sbagliata riguarda evidentemente anche il sistema di orientamento.
Purtroppo un “cambio” precoce di indirizzo, per meglio dire la “fuga”, che spesso si concretizza dopo la prima drammatica sequela di insufficienze nel primo quadrimestre, può divenire l’anticamera di un abbandono precoce del percorso di istruzione. La crisi scolastica, tra l’altro, coincide spesso con le prime “tempeste” adolescenziali e questo non è di aiuto. I giovani “disorientati” facilmente divengono rinunciatari e indifferenti rispetto al proprio progetto di vita, lasciando spazio all’inquietudine e all’angoscia.
In Italia i dati sulla dispersione scolastica sono ancora piuttosto allarmanti: nel 2021 l’indicatore degli Early leavers from education and training (Elet) ammontava al 12,7%. Un dato in calo rispetto all’anno precedente (13,1%), ma ancora troppo alto rispetto alla media europea (9.7%).
Molti dei ragazzi che lasciano la scuola sono di origine straniera e vivono nel Sud del nostro Paese, più frequentemente maschi che femmine. Tra i “dispersi” troviamo anche i “fragili” per motivi socio-economici, psicologici o legati alle difficoltà di apprendimento. Esposti a maggiore rischio sono i giovani che vivono nei quartieri periferici, o nelle zone rurali dell’entroterra. Si apre un ulteriore spunto di riflessione: se a “perdersi” sono soprattutto gli “ultimi”, la scuola dimostra di essere in grado di colmare le distanze sociali e di contribuire alla realizzazione dei principi democratici ed egualitari espressi nella nostra Costituzione?
Le conseguenze dei fallimenti scolastici non sono un fatto privato: essi riguardano l’intera collettività. Chi lascia gli studi precocemente è destinato a vivere di precariato o, peggio ancora, di espedienti, a essere esposto al degrado e all’esclusione sociale.
Dal ministero dell’Istruzione e del merito arriva la proposta del docente “orientatore” (decreto 328 del 22 dicembre 2022) e proprio in questi giorni nelle scuole si sono aperti i termini per le candidature interne. Il provvedimento si inserisce nell’ambito della riforma prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) “in quanto misura per aiutare docenti, studenti e famiglie a contribuire alla costruzione di una scuola capace di contrastare la crisi educativa del Paese e dare avvio a un percorso virtuoso volto a favorire il superamento delle disuguaglianze esistenti di natura sociale e territoriale”. L’intento è quello “di rafforzare il raccordo tra il primo e il secondo ciclo di istruzione e formazione, per una scelta consapevole e ponderata che valorizzi le potenzialità e i talenti degli studenti”. In particolare il docente orientatore dovrà supportare gli studenti a maturare consapevolezza rispetto al percorso di studi compiuti e allo sviluppo delle competenze in prospettiva del proprio personale progetto di vita culturale e professionale. Dovrà, inoltre, operare un raccordo continuo con le famiglie.
La sfida sembra interessante, ma di certo il docente orientatore non potrà avere spazio sufficiente di manovra se il sistema scuola non dedicherà maggiori energie a rinnovare le metodologie di insegnamento, calibrando il carico cognitivo sui diversi stili di apprendimento degli studenti e tenendo in considerazione i cambiamenti che la società vive. La scuola è chiamata a privilegiare l’approccio formativo del processo di istruzione e a rendere meno “giudicante” il momento valutativo.
Una scuola più attenta all’“essere umano” in formazione non è una scuola “più buona”, ma è una scuola più giusta e democratica.