L’Italia ha un problema con le retribuzioni. I numeri registrano una continua crescita del numero degli occupati, ma spesso si tratta di lavoro “povero”
Sarà la demografia calante a dare una mano alla soluzione del problema
È vero quel che dice il primo ministro Giorgia Meloni: aumenta l’occupazione lavorativa in Italia. Il tasso di occupazione è al 62,1%, sono stati creati 425mila posti di lavoro in un anno, la disoccupazione è ai minimi (7,2%). Un trend che dovrebbe migliorare ancora nel prossimo futuro.
È anche vero che le disuguaglianze territoriali stanno diventando imponenti: quel tasso di disoccupazione è la media tra la piena occupazione che si registra nel Nordest e quella molto più preoccupante di Sicilia e Calabria. Soprattutto, nel Mezzogiorno nemmeno una donna su tre ha un lavoro registrato (29%). Si consideri che nel Veneto quel tasso è al 63%…
Ma la questione più dolente è un’altra: è vero che i numeri registrano una continua crescita del numero degli occupati – anche tra i giovani –, ma spesso si tratta di lavoro “povero”. Tale è definito quel lavoro pagato meno di 9 euro lordi all’ora. Una cifra che, semplicemente, impedisce di campare con quel che si guadagna, o comunque di vivere dignitosamente in certe città dove il costo della vita è quasi proibitivo, per questi lavoratori.
E non sono pochi. Secondo l’Istat, oltre 4 milioni di lavoratori versano in simili condizioni: molti stranieri, ma anche molti italiani. Di questi, uno su tre guadagna meno di mille euro al mese. Chiaramente moltissimi di costoro sono giovani che vivono per forza di cose in famiglia, intesa quella di origine. Farsene una propria con simili entrate è semplicemente un sogno.
C’è insomma un grande problema retributivo in Italia, che chiede risposte alla politica e ai sindacati. La prima ha avanzato varie proposte di salario minimo, in Italia assai difficile da applicare anche perché la cifra X a Reggio Calabria può essere considerata dignitosa, a Monza ancora insufficiente. I sindacati si sono divisi: Cgil e Uil d’accordo su un salario minimo per tutti; Cisl per l’estensione alla totalità dei lavoratori dei contratti collettivi nazionali, implementando pure quelli territoriali e aziendali. Più semplice ed efficace da fare, se non ci fosse il problema che molti lavori un contratto collettivo non lo hanno e comunque va fatto rispettare: cosa non facile, le scappatoie non mancano.
Paradossalmente sarà la demografia calante a dare una mano alla soluzione del problema, stante la stretta agli ingressi di lavoratori stranieri: già oggi in molti territori si registra una carenza notevole di lavoratori; quindi, per attrarli, per forza di cose bisogna offrire di più.
Non a caso il responsabile di una rete di agenzie del Nord racconta che i colloqui di lavoro quasi sempre si concludono con un “le farò sapere”. Detto però dal giovane contattato e non dal selezionatore.