Indebitamento, quel “cortocircuito” che accresce la povertà

Dossier del Cnca: "Sempre più persone per sopravvivere vendono o impegnano i beni di famiglia, si indebitano all’eccesso e qualcuno finisce nelle mani degli usurai". Ogni anno tra le 270 e  300mila ricorrono al sistema dei pegni

Indebitamento, quel “cortocircuito” che accresce la povertà

Il “cortocircuito”, causato dall’aumento della povertà, deprivazioni economiche e mancanza di lavoro e dalla difficoltà di accesso al credito, è al centro del dossier presentato oggi dal Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) e realizzato da Filippo Torrigiani e Armando Zappolini. "L’emergenza Covid-19 negli ultimi mesi non ha fatto che peggiorare un quadro già preoccupante,  che incontriamo quotidianamente e che denunciamo da anni. - sottolinea il Cnca - Si tratta di situazioni di marginalità connesse ad un aumento, negli ultimi anni, della popolazione in condizione di povertà assoluta e relativa, come tutti i dati purtroppo confermano".  Il dossier “Cortocircuito. Come la spirale del debito impoverisce il tessuto sociale", dunque "racconta la diffusione sempre più massiccia e capillare negli ultimi anni oltre agli storici Banchi dei pegni, collegati alle grandi reti bancarie e finanziarie, di reti di negozi di Compro oro e simili molto frequentati dalle popolazioni a noi note". Senza dimenticare "la piaga storica del prestito per usura, da sempre presente soprattutto nei territori più difficili della nostra penisola e controllata in larga parte dalle organizzazioni criminali".

"Ci sono sempre più persone che per sopravvivere vendono o impegnano i beni di famiglia, si indebitano all’eccesso e qualcuno finisce nelle mani degli usurai", mentre anche in Italia "si registra una propensione all’aumento della concentrazione delle ricchezza", "Nel 2018 il 20% più ricco tra i nostri connazionali possedeva circa il 72% dell’intera ricchezza nazionale, il cui valore complessivo si attestava attorno a 8.760 miliardi di euro. E ancora: in termini patrimoniali, il top-10% della popolazione italiana possiede oggi oltre sette volte la ricchezza della metà più povera della popolazione",  spiegano gli osservatori declinando i dati più aggiornati. A partire da quelli che riguardano povertà e disuguaglianza. In particolare, il numero dei pignoramenti eseguiti dall’autorità giudiziaria nel solo 2017: 47.694 in Lombardia, 23.957 in Sicilia, oltre 19mila in Piemonte e Veneto. "Nel giro di poco più di un quinquennio ­­- dal 2012 al 2017 - oltre 1 milione di cittadini italiani sono risultati oggetto di requisizione di beni a loro intestati". 

Pesano sul "cortocircuito" anche le "contraddizioni che riguardano il sistema bancario, che concede prestiti in modo del tutto insufficiente rispetto ai bisogni di singoli, famiglie e imprese, mentre sul fronte del commercio delle armi (41 miliardi di euro di esportazioni di sistemi militari nel periodo 2018-2019) e il mercato dei combustibili fossili (fra le 35 principali banche mondiali finanziatrici di fonti fossili figurano anche istituti italiani quali UniCredit e Intesa San Paolo, con finanziamenti destinati a questo mercato di 23,2 e 12,1 miliardi di dollari nel periodo 2016-2019).

Banchi dei pegni: volume d’affari di circa 800 milioni

Nati nel Quattrocento ad opera soprattutto di ordini religiosi per aiutare gli indigenti, dalla metà degli anni Novanta queste attività sono state definite a tutti gli effetti istituti di credito e disciplinate da regole ferree, anche in considerazione del giro d’affari che muovono annualmente. Risultano di proprietà di circa una quarantina di banche tra le quali Unicredit, Gruppo Monte dei Paschi di Siena, Intesa San Paolo, Carige, Banco BPM, tanto per citarne alcuni e, secondo l'Assopegno, in Italia sono in media tra le 270mila e  300mila le persone delle più composite estrazioni sociali che, ogni anno, ricorrono al sistema dei pegni, per un volume d’affari complessivo di circa 800 milioni di euro. Secondo quanto riporta il dossier la quantità media del prestito erogato si aggira attorno ai 1.000 euro, con una percentuale di circa il 95% dei beni dati in pegno che viene riscattata dal contraente, mentre il 5% finisce all’asta. Diverse le necessità: spese inattese/impreviste, pagamento di rette per l’accesso e il mantenimento allo studio universitario, ristrutturazioni edili, inizio di nuove attività lavorative. "Per molti individui, - spiegano gli osservatori - impegnare i cosiddetti “gioielli di famiglia” ricorrendo al pegno, rappresenta nella grande maggioranza dei casi l’ultima spiaggia. Soprattutto in questi mesi caratterizzati dalla pandemia, nei quali in molti non hanno ricevuto (o li hanno avuti in ritardo) sussidi, cassa integrazione e altri sostegni, più di ogni ragionamento parla purtroppo la presenza delle persone che, con sguardi disillusi in fila composta davanti alle filiali del credito, attendono il loro turno accomunati da storie simili segnate da difficoltà e disperazione". 

Compro oro, oltre 6.000 sportelli in Italia

Hanno segnato un exploit attorno al 2010 ma da quell’anno, anche a causa della crisi, molti italiani vi hanno fatto ricorso per vendere i propri gioielli così da arrivare più agevolmente a fine mese. Nel 2018  in Italia si contavano 24.877 licenze per il commercio di preziosi, nel 2019 le licenze in corso di validità hanno raggiunto quota 29.511. Consultando gli elenchi dell’Oam (organismo per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi), a cui è necessario essere iscritti per esercitare tali attività, si apprende (dati 2019) che sono oltre 6.000 gli sportelli con una ripartizione geografica che vede al primo posto la Lombardia con oltre 1.000 negozi, seguita dal Lazio e dal Piemonte che ne annoverano nei propri territori oltre 500.

Usura, "infezione sociale" difficile da curare

Secondo l’Eurispes almeno un italiano su dieci (11,9%) è sprofondato nelle maglie degli usurai, non potendo accedere al credito bancario (era il 7,8% nel 2018 e il 10,1% nel 2019) e  secondo SOS Impresa a fine 2017 il mercato del credito illegale ha raggiunto in Italia un giro d’affari di circa 24 miliardi di euro, trascinandosi appresso all’incirca 200mila imprenditori e professionisti. “L’usura simboleggia la violenta speculazione circa il bisogno di denaro a danno di una persona, a cui si concedono somme per ottenere, in ritorno, un enorme guadagno in modo illecito", sottolineano gli osservatori che parlano di "un'infezione sociale tutt’altro che semplice da curare". Indicative, nonostante vi sia una legge che tuteli le vittime dell’usura, le denunce trasmesse alle autorità competenti, che hanno subito una sistematica contrazione: si è passati, infatti, dalle 1.436 denunce presentate nel 1996, alle 408 del 2016 e "non certamente a causa della decrescita del fenomeno".

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)