Il “rating cattolico” come guida per investire il proprio denaro
Si calcola che un quarto degli investimenti globali effettuati in forma collettiva (fondi di investimento e altro) abbia una qualche attenzione sociale. Mettendo in conto anche qualche opportunismo e qualche moda, il cambio di attenzione verso la destinazione del denaro si registra in diverse parti del mondo. Un rating che nasce da esperti indiscussi, e che ha alle spalle l'autorità morale della Chiesa, trascina altri grandi investitori (fondi pensione, assicurazioni, grandi enti, Stati) verso sensibilità nuove e buone pratiche
C’è rating e rating, ognuno di questi può esprimere una valutazione secondo priorità o punti di osservazione diversi. Hanno prevalso finora i rating strettamente finanziari, ma ce ne sono anche di etici e la recentissima novità di un rating cattolico che la Fondazione Quadragesimo Anno ha lanciato presso la Pontificia Università Lateranense nel corso del convegno “Investire per il bene comune”. Con il sostegno di Valore Srl in collaborazione con Vatican Insider e Core Values. Il ruolo operativo della Quadragesimo, il cui comitato promotore ha lavorato con la presidenza onoraria del cardinale Antonio Maria Vegliò, si conferma anche in un fondo di investimento per aiutare le famiglie in difficoltà nel pagamento del mutuo.
Il progetto di creazione di un rating coerente con la dottrina sociale della Chiesa offre un nuovo strumento pratico, facilmente utilizzabile, per chi vuole investire il denaro con la certezza che non andrà in attività nocive. Tende a conferire al denaro – se utilizzato per ridurre e non aumentare le disparità economiche nel mondo – un potenziale ruolo di modificatore degli equilibri. Un percorso nuovo, tutto da inventare e sperimentare.
La logica dell’investire ovunque e comunque “purché renda bene” ha creato troppi disastri e ingiustizie.
Perché i rating possono aiutare il buon uso del denaro? Innanzitutto perché sono valutazioni espresse in numeri, lettere o giudizi di semplice comprensione e reperibilità. Sono “termometri” per misurare alcune caratteristiche di una società, i prodotti o i comportamenti.
Chi esprime il giudizio deve avere una credibilità massima, ha l’obbligo di precisare i criteri adottati che devono essere definiti e non interpretabili. Deve essere scientificamente rigoroso e privo di conflitti di interesse. Non influenzabile anche quando la società che chiede di essere sottoposta al giudizio di rating paga il costo tecnico della valutazione.
Il rating nei mercati finanziari è in genere utilizzato per misurare la solvibilità, cioè la capacità di una azienda (ma vale anche per un Paese) di restituire i soldi ottenuti in prestito da investitori e cittadini. Quando un rating è basso, scadente, segnala qualche rischio che i soldi e gli interessi non vengano restituiti e pagati.
Possono avere altre finalità. Possono segnalare quanto un’azienda è etica nei confronti dell’ambiente, quanto rispetta i clienti e i suoi collaboratori e tutti gli interlocutori. Possono essere rating di legalità e correttezza fiscale. La buona azienda dovrebbe trarre vantaggi da una certificazione positiva e, partecipando a una gara, dovrebbe poter risultare più affidabile e trasparente rispetto a un’altra che non dispone del riconoscimento.
Così come un rating che valorizzi comportamenti virtuosi(no armi, no dittature, no inquinamento) dei gestori in delega del denaro dovrebbe richiamare l’attenzione di chi non cerca solo la massima performance economica.
Già succede. Si calcola che un quarto degli investimenti globali effettuati in forma collettiva (fondi di investimento e altro) abbia una qualche attenzione sociale. Mettendo in conto anche qualche opportunismo e qualche moda, il cambio di attenzione verso la destinazione del denaro si registra in diverse parti del mondo. Un rating che nasce da esperti indiscussi, e che ha alle spalle l’autorità morale della Chiesa, trascina altri grandi investitori (fondi pensione, assicurazioni, grandi enti, Stati) verso sensibilità nuove e buone pratiche.