Il lato malato dell’online. Il digitale ci trova ancora una volta impreparati, sia come genitori ed educatori che come utenti
Gli esperti ci avvertono che nell’universo digitale il corpo, fisicamente inteso, cioè come strumento di esplorazione, è assente
L’universo parallelo dell’online continua a mettere a dura prova la comunità educante con episodi sempre più inquietanti. Nei giorni scorsi, in diverse città d’Italia, dal Nord al Sud, dei minori di età compresa fra i 13 e i 16 anni sono stati coinvolti in indagini e denunce per aver inviato e ricevuto materiale pedopornografico su chat e gruppi social. All’interno di queste community sarebbero stati veicolati, inoltre, immagini e stickers “meme” di carattere zoofilo, necrofilo, splatter, ecc., alcuni di essi ritraenti orrende mutilazioni o atti sessuali estremi e altre crudeltà.
A seguito dell’operazione Poison, che ha coinvolto sette minorenni della provincia de L’Aquila, la polizia postale ha dichiarato in un comunicato stampa: “L’operazione di oggi ha confermato un fenomeno dilagante tra i giovanissimi, i quali, spesso, nei contesti social banalizzano eventi terribili del passato o mostrano assoluta indifferenza per violenze e stupri, anche nei confronti di bambini piccolissimi; a volte si assiste ad una gara a chi posta l’immagine più sprezzante o truculenta, al fine di stupire, all’insegna dell’esagerazione”. Sono parole che non possono lasciarci inerti spettatori di un fenomeno che rischia di divenire incontenibile e coinvolgere anche minori di età inferiore.
Ma perché accade tutto questo? Non è semplice rispondere. Di sicuro il digitale ci trova ancora una volta impreparati, sia come genitori ed educatori che come utenti. L’accesso alle tecnologie è troppo precoce, gli smartphone vengono affidati con leggerezza a bambini, preadolescenti e adolescenti senza interrogarsi adeguatamente sulla potenzialità di questi dispositivi e senza una opportuna mediazione.
Gli esperti ci avvertono che nell’universo digitale il corpo, fisicamente inteso, cioè come strumento di esplorazione, è assente. La sua esclusione dalle relazioni “web-mediate” limita fortemente la risonanza emotiva di determinati gesti o azioni. Inutile, da questo punto di vista, lo sforzo di creare icone o emoticon, che non possono certamente sostituire le emozioni autentiche di fatto mediate dal corpo, come i sentimenti lo sono dalla coscienza.
I media digitali, dunque, dialogano con la mente, sul piano logico, ma non in profondità con le emozioni e la nostra capacità empatica. Quello che di fatto avviene è una sorta di “dissociazione” tra anima e mente ed è questa bipolarità che spesso conduce all’aberrazione. A una certa età, poi, non si è neppure in grado di capire fino in fondo gli effetti di ciò che si scrive e, soprattutto, tra giovani e giovanissimi i media diventano una sorta di trampolino di lancio, direzionato verso il gruppo dei coetanei che si vuole impressionare, o sui quali si desidera affermarsi. La mancanza di empatia e di rispecchiamento nelle emozioni e nei sentimenti altrui generano, inoltre, comportamenti aggressivi e prevaricatori nei confronti di chi viene percepito come più “debole”, o meno spregiudicato nell’utilizzo del mezzo. Ed ecco qui spuntare le minacce, perfino i ricatti, in modalità inedite e sconvolgenti rispetto all’età e al contesto da cui i ragazzi provengono. Non sono loro a parlare, ma il loro “avatar”, il nickname, il personaggio che dovrebbe veicolare il riscatto dalle proprie frustrazioni e dalla propria solitudine.
La solitudine è un altro grande tema nel percorso di crescita dei nostri giovani, soprattutto perché, invece di essere riconosciuto come spazio di riflessione, diventa terreno fertile per il disagio e la devianza. Le relazioni tra pari cercano la strada del sensazionalismo, dello “scandalo”, quando s’innestano sul senso d’inadeguatezza: “non sono adeguato” e quindi “mi travesto” da cinico, da spregiudicato, da “audace”. La comunità attuale offre ancora pochi spazi per affrontare i propri gap interiori, il disagio non solo non viene risolto ma spesso sui social si trasforma in “tendenza”, o “moda”, o “status”, mai in ricerca interiore.
Così diventa uno specchietto mortifero per inconsapevoli allodole in cerca di identità.