Green Deal. Milano: “Non c’è più tempo da perdere. Le alluvioni in Nord Europa ci insegneranno qualcosa?”
“Per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile nel 2030 non possiamo aspettare quell’anno. Per tagliare le emissioni del 55% – oggi siamo al 19,6 – dobbiamo più che raddoppiare in appena 9 anni gli insufficienti sforzi profusi finora”: così il segretario generale di Greenaccord commenta al Sir l’ultimo pacchetto di proposte della Commissione Ue in campo ambientale, mentre il maltempo ha pesantemente colpito Germania e Belgio
Quasi duecento morti per le alluvioni che hanno colpito il Nord Europa. Le ondate di mal tempo sono anche frutto dei cambiamenti climatici, del consumo di suolo e del danneggiamento degli ecosistemi. Intanto, la settimana scorsa la Commissione europea ha adottato un pacchetto di proposte per rendere le politiche Ue in materia di clima, energia, uso del suolo, trasporti e fiscalità idonee a ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. L’obiettivo è rendere l’Europa il 1° continente a impatto climatico zero entro il 2050, concretizzando il Green Deal europeo. Inoltre, la Commissione Ue ha adottato anche una strategia forestale per il 2030. Di tutto questo parliamo con Giuseppe Milano, segretario generale di Greenaccord.
Le alluvioni che stanno colpendo il Nord Europa sono un campanello d’allarme sulle conseguenze dei cambiamenti climatici? E sono connesse alle isole di calore che si creano per il consumo di suolo?
La Germania, nell’immaginario collettivo di tanti, è da anni una superpotenza mondiale per la variegata complessità e diversificata qualità delle sue politiche economiche. Le recenti alluvioni, di inattesa intensità per l’accelerazione dei cambiamenti climatici, ci restituiscono l’unica immagine che ci siamo rifiutati di osservare nell’ultimo decennio:
la Germania, come conferma pure l’Agenzia europea dell’ambiente, è il Paese con il più alto tasso di impermeabilizzazione dei suoli in Europa, precedendo Lussemburgo e Italia.
Si è costruito anche dove non si sarebbe dovuto come nel letto dei fiumi e in territori già vulnerabili.
Le contraddizioni dell’economia liberale hanno sovrastato le ragioni dell’ecologia integrale.
La recente sentenza della Corte costituzionale federale bocciando la “legge sul clima”, a pochi giorni dalla più grande catastrofe ambientale della storia della Germania, ha solo confermato il fallimento delle politiche green della cancelliera Angela Merkel.
Gli obiettivi prefissati dall’ultimo pacchetto della Commissione europea per il Green new deal sono realizzabili?
Le tecnologie e le risorse ci sono: oggi nessuna politica è irrealizzabile.
Il Green new deal resterà, però, il “vademecum delle speranze tradite” se il potere economico delle lobby dei combustibili fossili continuerà ad essere egemone rispetto a quello democratico dei governi nazionali, non comprendendo che per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile nel 2030 non possiamo aspettare il 2030.
Per tagliare le emissioni del 55% – oggi siamo al 19,6 – dobbiamo più che raddoppiare in appena 9 anni gli insufficienti sforzi profusi finora. Oggi, al netto degli annunci roboanti, le politiche resilienti scarseggiano non solo in Germania e in Italia, ma anche in Francia e in Spagna, per non dire dei Paesi dell’Europa dell’Est come Polonia, Ungheria e Russia.
Ci sono già dei dubbi avanzati su questo pacchetto di misure: c’è chi pensa ai contraccolpi sull’industria e all’impatto sociale. Quali sono le principali misure previste dalla Commissione e come contemperare le esigenze diverse?
Il pacchetto “Fit for 55”, con le sue 13 proposte legislative, vuole essere il bisturi etico-ecologico che interviene sul senno della vecchia Europa per evitare che le nuove generazioni paghino, incolpevolmente, un esponenziale “eco-debito”.
Nello specifico, consapevoli che nessun cambiamento reale e radicale è indolore, si propone di riformare il sistema di scambio delle quote di emissione (Ets); di tassare il carbonio alla frontiera (per evitare i fenomeni della delocalizzazione); di aggiornare le direttive sulle energie rinnovabili e sull’efficienza energetica; di regolare il sistema dei trasporti aerei e marittimi; di costituire un Social Fund per una transizione che sia anche socialmente giusta. Le imprese saranno finanziariamente sostenute per accelerare la loro conversione ecologica e abbandonare i combustibili fossili, ma è giunto il momento che agiscano con maggiore sensibilità e corresponsabilità nei confronti dei giovani.
Il profitto non è tutto.
Le associazioni ambientaliste pensano che siano misure insufficienti e che sia troppo tardi l’obiettivo da raggiungere solo nel 2050. C’è ancora tempo?
La risposta a questa domanda la suggerisce direttamente l’Ipcc delle Nazioni Unite:
non abbiamo più tempo da perdere perché ci stiamo avvicinando al punto di non ritorno.
Gli eventi estremi sempre più frequenti e intensi – si pensi alle ondate di calore e agli incendi in Canada nelle scorse settimane – sono lì a ricordarci che occorre agire efficacemente oggi e, dunque, è più che legittima la rivendicazione degli ambientalisti che ambiscono a riduzioni di gas serra del 65% entro il 2030 e a una completa elettrificazione dei trasporti entro il 2035.
Si parla di incentivare le energie rinnovabili, ma, come si legge nel recentissimo rapporto Ispra/Snpa sul consumo di suolo in Italia, le installazioni del fotovoltaico possono avere degli effetti negativi se consumano suolo a scapito dell’agricoltura. Cosa pensa di questo aspetto?
Le energie rinnovabili sono essenziali per il pianeta e fondamentali per il nostro Paese che, avvantaggiato dalla sua geografia, potrebbe diventare un top player europeo. Almeno 15 dei 65 GW necessari, ove fossero prodotti da mega-impianti rinnovabili posati su suoli naturali, richiederebbero, però, almeno 12mila ettari di terreno, quando la vera rivoluzione sarebbe non solo proteggere una risorsa non rinnovabile come il suolo, ma anche quella di utilizzare tutti i tetti delle strutture residenziali, commerciali o industriali, utilizzate o dismesse, del nostro Paese.
Il Pnrr italiano su questo focus è debolissimo e nulla si dice su cosa accadrà tra 25-30 anni quando le infrastrutture andranno rimosse a completamento del loro ciclo di vita.
Quanto è importante preservare le foreste e piantare nuovi alberi per salvaguardare la biodiversità e combattere i cambiamenti climatici?
Gli alberi e, in generale, le foreste o le soluzioni basate sulla natura come i corridoi ecologici e i giardini alluvionali sono fondamentali.
Le città, pur occupando appena il 3% della superficie terrestre, sono responsabili di oltre il 65% delle emissioni inquinanti complessive e, pur prevedendo globalmente un incremento della popolazione entro la fine del secolo, devono drasticamente tagliere i propri consumi energetici e radicalmente sperimentare la visione strategica ed olistica dell’ecologia integrale suggerita da Papa Francesco. L’Ipcc e l’Ipbes delle Nazioni Unite hanno confermato recentemente, con un report congiunto, l’intima interconnessione tra perdita di biodiversità e crescita dei cambiamenti climatici esortando, pertanto, i vari governi nazionali ad agire per ripristinare gli ecosistemi degradati, per tutelare risorse naturali limitate come il suolo e l’acqua, ad azzerare i sussidi alle fonti ambientalmente dannose che minacciano gli equilibri della biosfera.