Famiglie italiane. Nei debiti fino al collo
Cresce il numero di famiglie incapaci di far tornare i conti e assillate dai prestiti contratti. Nei dieci anni della crisi le famiglie economicamente "fallite" sono quasi raddoppiate.
Tra il 1° gennaio 2007 e il 1° gennaio 2017 il numero stimabile delle famiglie in sovraindebitamento irreversibile (in pratica una sorta di fallimento) è passato da 1.276.642 a 1.959.433, con un incremento di 682.791 casi. Un aumento di 53,5 punti percentuali. È quanto emerge dalla ricerca presentata dal sociologo Maurizio Fiasco al convegno della Consulta nazionale antiusura, ad Assisi.
La ricerca evidenzia un crollo dei redditi da lavoro dipendente e ancor più di quelli da lavoro autonomo, mentre l'unico flusso di reddito che si è incrementato deriva dalle pensioni. Se si considera la riserva economica (ricchezza patrimoniale più redditi), in dieci anni si è passati da un valore monetario medio di poco più di 260 mila euro a famiglia, a poco più di 226 mila, con una perdita del 13 per cento. Per una famiglia si può parlare di sovraindebitamento irreversibile quando né i redditi da lavoro, né le rendite, né le somme ottenibili alienando quote limitate di beni di famiglia (mobili e immobili), consentono di conseguire un pareggio del bilancio familiare in un tempo gestibile.
In questa condizione cronica e patologica si possono delineare tre profili: sovraindebitamento “attivo” (vale a dire provocato da scelte autonome e non obbligate); sovraindebitamento “passivo” (quando si è obbligati a ricorrere ad un prestito “di sussistenza”); sovraindebitamento “differito” (un mix tra il primo e il secondo, poiché l'equilibrio attuale sarà inevitabilmente compromesso in futuro). Quest'ultima tipologia, in crescita, si sviluppa quando l'equilibrio economico familiare e soprattutto gli impegni di spesa non sono adeguatamente supportati dai redditi da lavoro e presuppongono il sostegno del reddito degli anziani pensionati.
Per fronteggiare il problema, Fiasco stima che occorrerebbe un intervento dello Stato pari a circa 14 miliardi di euro, da dare in garanzia di percorsi di rientro dal debito. Un percorso utile a tutti: se anche gli insuccessi si attestassero al 20 per cento, per lo Stato la “perdita” effettiva sarebbe comunque minore dell’impatto sociale di migliaia di famiglie in bancarotta.