Disforia di genere. Sani (Gemelli): “No alla pillola che risolve tutto in fretta. Servono ascolto, riflessione, tempo”
“Nelle situazioni di variabilità e fluidità che caratterizzano l’adolescenza è molto frequente che un ragazzo o una ragazza possano provare incongruenza di genere senza che questa debba necessariamente esitare nei passi successivi”. È un invito alla prudenza e alla cautela quello dello psichiatra Gabriele Sani, secondo il quale il problema dell'incongruenza di genere non può essere affrontato in modo semplicistico con il blocco della pubertà: il ragazzo o la ragazza deve essere aiutato e accompagnato per tentare di fare chiarezza. Senza fretta, rispettando i tempi del suo processo evolutivo. E i genitori devono essere “presenti, accoglienti e non giudicanti”
“Il nostro ambulatorio nasce dalla crescente domanda di aiuto che riceviamo dai nostri pazienti, per tentare di accogliere e lenire la sofferenza che spesso accompagna questi ragazzi e le loro famiglie. È anzitutto uno spazio di riflessione e ascolto, dove l’accoglienza di ciò che si prova e si sta vivendo è alla base del rapporto psicoterapeutico;
uno spazio nel quale accompagnare i ragazzi e le loro famiglie in un processo di crescita e di conoscenza di quanto sta avvenendo nelle loro vite”.
Gabriele Sani, ordinario di Psichiatria all’Università Cattolica e direttore della Uoc di Psichiatria clinica e d’urgenza e del Centro psichiatrico integrato di ricerca, prevenzione e cura delle dipendenze (Cepid) del Policlinico Gemelli, spiega al Sir l’approccio e l’obiettivo dell’ambulatorio di consulenza multidisciplinare per la disforia di genere inaugurato un mese fa al Gemelli. All’indomani della pubblicazione della Cass Review e dello stop di Regno unito, Germania, Svezia e Danimarca ai bloccanti della pubertà, nonché dei risultati dell’ispezione ministeriale al Careggi di Firenze, abbiamo chiesto allo psichiatra di fare un po’ di chiarezza in materia.
Professore, anzitutto che differenza c’è tra incongruenza di genere e disforia di genere?
L’Oms ha posto la condizione di incongruenza di genere al di fuori delle patologie psichiatriche per collocarla correttamente all’interno delle condizioni legate alla salute sessuale. La disforia di genere è invece una patologia psichiatrica a tutti gli effetti, a tutt’oggi collocata all’interno del Dsm (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ndr) e, come tale, va affrontata.
Esistono numeri certi sul fenomeno nel nostro Paese?
In questo ambito disponiamo solo di dati incongruenti: si parla di una percentuale di 1 a 10mila oppure di 1 a 30mila nati femmine, ma ad oggi non esiste un dato certo.
A quale età può manifestarsi l’incongruenza di genere e quando può essere diagnosticata?
Nel Dsm esistono criteri diagnostici anche per la manifestazione in età di infanzia; tuttavia, come tutte le situazioni di fluidità che caratterizzano l’adolescenza, anche l’incongruenza di genere si manifesta principalmente in quest’ultima fascia di età.
Al di là del dato biologico, nell’identità di genere quanto entrano in gioco anche fattori psicologici e ambientali?
Noi siamo figli di un approccio biopsicosociale. Oltre al dato biologico, anche queste componenti hanno un ruolo plastico e un’azione di modellamento che devono essere presi in considerazione.
Che cosa può provocare a livello psicologico il disallineamento tra identità di genere e sesso biologico? I sostenitori del cosiddetto “approccio affermativo” parlano anche di autolesionismo e tentativi di suicidio.
Premetto che il suicidio è la più grande tragedia umana, un tema che impone di parlarne con prudenza e profondo rispetto nei confronti dei tanti che non ci sono più e dei tanti dolorosamente sopravvissuti a chi si è tolto la vita. I dati stessi sulla suicidalità non sono uniformi. Ce ne sono alcuni a supporto dell’idea per cui prima si inizia il processo di transizione meglio è, che ne vedrebbero una percentuale molto elevata nelle persone in pubertà con incongruenza e disforia di genere. Al contrario, altri dati rivisti in riferimento alla Cass Review, e alcuni studi inglesi e olandesi che hanno riesaminato retrospettivamente i dati, hanno dimostrato che l’accelerazione verso una transizione non riduce il rischio suicidalità nella popolazione transgender o gender-diverse in esame.
Si tratta di un problema complesso che non può essere affrontato in maniera semplicistica con l’idea, forse autoconsolatoria, che esista la pillola che risolve tutto.
Laddove la suicidalità dovesse essere presente, dobbiamo affrontarla, accoglierla e sviscerarla nelle sue difficili spiegazioni e origini, affrontandola con la serietà e la dedizione che tutte le persone che hanno idee suicidarie meritano. In ogni caso,
non si può pensare che una pillola sia in grado di risolvere tutto, in tutti, e rapidamente.
La triptorelina, appunto. In quali casi è indicato il suo impiego come bloccante della pubertà?
La triptorelina viene utilizzata da tempo dagli endocrinologi in caso di pubertà precoce. Una determina Aifa del 2019 ne autorizza l’impiego off label nei ragazzi e nelle ragazze con disforia di genere, a condizione che si trovino in una condizione iniziale di sviluppo sessuale e nei casi in cui l’approccio psichiatrico e psicoterapeutico non sia stato risolutivo. Questo è molto importante perché, anche se non si comprende in base a quali criteri si possa definire fallito o riuscito un percorso psicoterapeutico o psichiatrico, la determina stabilisce l’obbligo di questo percorso, essenziale come tempo di ascolto, accoglienza e confronto per arrivare eventualmente ad una risoluzione.
Quali sono i rischi che comporta anche a livello mentale e psicologico restare in un limbo sospeso?
La somministrazione della triptorelina viene spesso presentata come un elemento “neutro” che pone il ragazzo o la ragazza in una sorta di “pausa di riflessione”, ma si tratta di una visione semplicistica e irrealistica. Il blocco della pubertà, oltre ad avere effetti fisici collaterali nel medio-lungo termine ancora in via di studio e di cui sono ben consci gli endocrinologi che lo utilizzano (problemi di maturazione ossea, di infertilità), di fatto agisce inevitabilmente sulla mentalizzazione, sul comportamento e sulle fantasie degli adolescenti, e sappiamo quanto sia importante la fantasia in un processo evolutivo come quello adolescenziale. Gli ormoni non hanno mai un effetto neutro.
Come si arriva alla decisione di intraprendere un processo di transizione?
Dipende molto da persona a persona. Quello che posso dire è che
bisogna avere massimo rispetto dello sviluppo della persona e del suo processo evolutivo adolescenziale,
e dare tempo a questi ragazzi e ragazze per avere la possibilità di comprendere quello che sta accadendo. Agire in maniera “impetuosa” sulla loro pubertà non è un modo “neutro” per affrontare questo problema, anzi.
Sul web circolano testimonianze drammatiche di giovanissimi de-transitioner che si sentono mutilati nel corpo e nell’identità…
Il fenomeno della de-transizione è in crescita ma anche qui non esistono dati certi; quello che appare è la descrizione di una sofferenza che si aggiunge ad altra sofferenza: proprio quello che dovremmo tentare di prevenire il più possibile con l’approccio che applichiamo nel nostro ambulatorio
E quale sarebbe?
L’approccio del nostro ambulatorio si fonda essenzialmente su tre pilastri: accoglienza, parola, lentezza. Anzitutto accoglienza, poi parola come modalità di ascolto e confronto attraverso il quale poter delineare un quadro più chiaro rispetto a quello che sta accadendo. Quindi lentezza, intesa non come disvalore bensì come prudenza. Significa agire nel rispetto totale del ragazzo, della ragazza, delle famiglie che ci vengono a chiedere aiuto, dando tempo per fare chiarezza e tentare di trovare una risposta a questo disagio. Nelle situazioni di variabilità e fluidità che caratterizzano l’adolescenza è molto frequente che un ragazzo o una ragazza possa provare incongruenza di genere senza che questa debba necessariamente esitare nei passi successivi.
Che cosa consiglia ai genitori ai quali un ragazzo confida di non riconoscersi più nel sesso di nascita?
Anzitutto di esserci, essere presenti il più possibile. E questo vale e per tutti i nostri ragazzi. Presi dai mille impegni quotidiani, spesso ci siamo solo quando questi ce lo consentono ma i nostri ragazzi non si aprono a comando, hanno bisogno di noi per potersi aprire quando si sentono pronti ad un confronto. Poi non essere giudicanti ma profondamente accoglienti.
Presenti, accoglienti e non giudicanti.
Occorre inoltre evitare sia di sottovalutare, riducendo il disagio ad una crisi adolescenziale che passerà da sola, sia, al contrario, di drammatizzare facendosi prendere dall’ansia o dalla paura. Occorre piuttosto essere aperti alla domanda di aiuto, pazienti e soprattutto pronti ad intraprendere con lui un viaggio, perché quello con l’adolescente che soffre è un percorso che si affronta insieme. Dobbiamo accompagnare i nostri figli – o i nostri giovani – con umiltà, passione e forza.