Cittadinanza, si torna a parlare di ius soli. "Ecco perché la riforma è necessaria"
Dopo le parole di Enrico Letta all’assemblea Pd, il tema torna al centro del dibattito politico. Per la destra non è una priorità. Un team di giuristi ha analizzato i profili di illegittimità della legge in vigore: “Vulnus di civiltà”
“Io sarei molto felice se il governo di Mario Draghi, di tutti insieme, senza polemiche, fosse quello in cui dar vita alla normativa dello ius soli che voglio qui rilanciare". Sono bastate queste parole, pronunciate da Enrico Letta, durante l’assemblea Pd per eleggere il nuovo segretario del partito, a rilanciare il dibattito sulla riforma della cittadinanza. A destra, Matteo Salvini, ha prontamente replicato: “Letta e il Pd vogliono rilanciare lo ius soli? La cittadinanza facile per gli immigrati? Buonanotte, se torna da Parigi e parte così, parte male. Risolviamo i mille problemi che hanno gli italiani e gli stranieri regolari in questo momento, non perdiamo tempo in cavolate”, facendo capire che è un tema non prioritario per il nuovo governo.
I tentativi di riforma andati in fumo e i nuovi ostacoli legislativi
In realtà di riforma della legge sulla cittadinanza, la 91 del 1992, si discute da anni. L’ultimo tentativo, andato in fumo, di riforma risale al 2015, quando la Camera approvò ( 310 sì, 66 no e 83 astenuti) la proposta di legge che introduceva anche in Italia uno ius soli temperato e uno ius culturae. Il testo, però, non passò mai per il voto del Senato, restando quindi lettera morta a fine legislatura, nel 2017.
Da allora, nulla è cambiato per i figli degli stranieri regolarmente residenti nel nostro paese. Anzi, con le nuove disposizioni di legge, come i decreti sicurezza voluti dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, i tempi per chi richiede la cittadinanza italiana si sono allungati. I decreti (convertiti nella legge 132 del 2018) infatti avevano fatto passare da due a quattro anni il periodo di attesa per chi chiede di diventare cittadino italiano per naturalizzazione (almeno 10 anni di residenza continuativa nel paese) o per matrimonio. Su questo fronte è intervenuto il nuovo decreto Immigrazione, che ha riformato i decreti sicurezza. Ora il tempo di attesa è di tre anni.
Gli aspetti di illegittimità della legge
Ma i motivi che rendono imminente una riforma della legge sulla cittadinanza, sono tanti. Lo spiega bene un volume appena pubblicato da Cild (Coalizione italiana libertà e diritti civili). Innanzitutto si tratta di una legge nata quando il fenomeno migratorio era agli inizi. “L’acquisto della cittadinanza italiana è disciplinato dalla legge 5 febbraio del 1992, n. 91 . Si tratta, come è noto, di una legge datata non solo in ragione del tempo trascorso – non ancora trent’anni, ma resi pesanti da tanti mutamenti epocali – quanto per la sua impostazione di fondo, che già in anni ormai lontani ne ha comportato l’irridente ma verace definizione di “legge a scoppio ritardato”, nata quindi già vecchia”si legge nell’ebook, curato dall’avvocato Gennaro Santoro, con prefazione del Professore Patrizio Gonnella e le conclusioni dell’avvocato Arturo Salerni.
Tra gli ostacoli rilevati c’è la questione della “residenza legale” definita in senso restrittivo per ottenere la cittadinanza. In particolare, secondo Paolo Morozzo della Rocca, della Comunità di Sant’Egidio ci sono profili di irragionevolezza nell’automatismo di preclusione nei confronti di chi ha un’interruzione dell’iscrizione anagrafica di pochi mesi. Inoltre, un ulteriore profilo di dubbia legittimità costituzionale riguarda l’onere del mantenimento del requisito matrimoniale fino alla definizione del procedimento, senza tenere conto dei ritardi burocratici. Secondo l’autore la sussistenza dei requisiti richiesti dovrebbe permanere fino al termine legale e non oltre. L’autore analizza poi i casi della mancata previsione legislativa di un’esenzione a beneficio di persone anziane o disabili per la dimostrazione del requisito di conoscenza della lingua italiana al livello B1 richiesto. Nel volume è contenuta una comparazione con altre normative europee (Francia, Germania, Olanda, Portogallo e Romania). La totale assenza di una normativa sullo ius soli e lo ius culturae è prettamente italiana, così come è italiana l’abnormità e l’irragionevolezza di tempistiche così lunghe per la conclusione del procedimento. Per questo, gli autori analizzano la giurisprudenza costituzionale e amministrativa: un saggio, firmato dalla dottoressa Flaminia Delle Cese e dall’avvocato Gennaro Santoro, commenta criticamente il destino infausto che ha avuto una class action contro i ritardi del Ministero dell’Interno nei procedimenti di concessione della cittadinanza per naturalizzazione.
“Non crediamo certo che la via giudiziaria (ed in essa la strada della rimessione di aspetti della legge in vigore al vaglio della Corte Costituzionale) possa supplire alla carenza dell’intervento legislativo, né che essa di per sé possa riempire il vuoto del dibattito politico sul punto; ma riteniamo che – a partire dalle tante riflessioni che abbiamo raccolto in questa pubblicazione – il sollevare richieste di declaratoria di incostituzionalità degli aspetti segnalati possa dare un contributo per riaprire una stagione di riflessione, proposta e soluzione in ordine ad una mancanza (ovvero quella di una normativa adeguata ai mutamenti della realtà e tale da determinare umanità, inclusione e sviluppo), che in realtà è una ferita aperta nel nostro corpo sociale - spiegano gli autori -. È una ferita che non riguarda soltanto le seconde generazioni, ma è un vulnus di civiltà che rende più debole e povero il Paese. Vogliamo pensare che - dopo la crisi e la pandemia - si possa costruire, nella terza vita di questa legislatura, una fase di costruzione di nuove regole e di nuove solidarietà, a partire dalle nuove generazioni, in cui la cittadinanza non sia più un privilegio. Per la nostra Coalizione, cittadinanza, libertà e diritti civili non seguono strade separate; a partire dai tanti approcci di coloro che si ritrovano in Cild, tutti noi siamo uniti intorno a questa consapevolezza”.