Che ne sarà dei miei piccoli-futuri uomini? Dopo la morte di Giulia, riflessioni da maschio papà di tre maschi
Due eventi hanno tenuto con il fiato sospeso l’Italia la scorsa settimana. Due vicende agli antipodi, che hanno avuto una copertura mediatica a tratti senza precedenti. Protagonisti tre 22enni (quando le coincidenze amplificano le emozioni…).
Mentre a Torino, alle Atp Finals, l’altoatesino Jannik Sinner infiammava lo sport italiano battendo una serie di record personali e nazionali (non aveva mai sconfitto il numero uno Djokovic e nessun italiano era mai andato oltre il gruppo di qualificazione), a Vigonovo lo studente di ingegneria a Padova originario di Torreglia Filippo Turetta otteneva un incontro con la sua ex fidanzata, Giulia Cecchettin. Come sia andata a finire in entrambi i casi lo sappiamo bene. Per giorni i media danno numeri, previsioni, dati, dettagli sulle gesta di Sinner. In contemporanea, escono prima i rilevamenti dei Comuni attraversati dall’auto di Filippo Turetta dall’11 al 19 novembre, poi il drammatico video ripreso dalle telecamere a circuito chiuso di uno stabilimento di Fossò che fa presagire il peggio; infine il ritrovamento del corpo di Giulia e l’arresto di Filippo in Germania. Nella mia casa – come in molte altre – io e mia moglie guardavamo tre piccoli maschi in fase esplosiva di crescita, con negli occhi l’entusiasmo che il grande sport sa accendere, e nella nostra mente l’interrogativo: come saranno questi futuri uomini? Che scelte faranno? Come affronteranno le piccole grandi delusioni che la vita gli presenterà? Quando si renderanno conto che il loro posto alle Atp Finals – con molta probabilità, ma senza spegnere i sogni – non sarà in campo come Nole e Jannik ma sulle tribune (forse) con i pop corn in mano, come reagiranno? E infine, sapranno rispettare una loro amica o una ragazza conosciuta da poco, che non provasse (più) quello che loro stessi provano? Non ci sono risposte a questi interrogativi, se non un esame di coscienza come adulto, genitore ed educatore, oltre che come giornalista. Lo spazio che abbiamo deciso di dedicare in questo numero a questa drammatica vicenda nasce dalla consapevolezza che molti, se non tutti, in questi giorni sono stati attraversati da pensieri come questi. Se non per essere genitori, in quanto zii, nonni, insegnanti. O educatori, ruolo di cui è investito ogni adulto, anche semplicemente con il suo modo di abitare la società. Viviamo una realtà in cui la discrepanza tra l’uomo e la donna è ancora molto, troppo evidente. Il dato più odioso sta in quel 15 per cento in meno (fonte Istat) che una donna guadagna rispetto a un uomo a parità di professione. Un dato che viola palesemente la Costituzione fin dal suo fondamento, che tuttavia non ha prodotto nulla in 75 (quasi 76) anni di vita della Carta. Ma c’è anche la forte sperequazione relativa alla conciliazione dei tempi di lavoro e famiglia. L’ultimo Rapporto Bes, sempre dell’Istat, certifica che il 40 per cento delle giovani donne dai 35 ai 44 anni non lavora contro il 15 per cento degli uomini, pur con risultati mediamente migliori negli studi: da dove viene questa distanza se non da un fattore culturale che vuole ancora, in larghi strati della popolazione, la donna a curare il focolare domestico? La cosa ha un senso, se scelta dalla donna stessa, non ce l’ha se imposta di fatto da un sistema che limita al massimo le alternative. Certo, grazie al Cielo la differenza uomo-donna rimarrà per sempre irriducibile, ma vanno rimossi gli ostacoli palesi all’emancipazione di una delle due parti. Ecco la cultura patriarcale in azione, molto più che nel cat calling o nell’uso del maschile generico nella lingua. È questa cultura che pervade tutti e che influisce sulle migliori intenzioni dei genitori, anche di quelli più accorti. Ce lo spiegano in questo numero de La Difesa esperti di grande valore: serve più competenza educativa e serve la volontà di cambiare insieme una situazione non più sostenibile. Un’educazione che ci insegni sempre a distinguere e a comprendere, senza pericolose generalizzazioni. Perché se è vero che nei femminicidi gli assassini sono tutti uomini, è anche vero che non tutti gli uomini sono assassini.