Cattolici e politica. Mons. Toso: “Porsi il problema di come essere protagonisti efficaci nei parlamenti”
Il vescovo, autore del volume "Chiesa e democrazia", mette in guardia da un "deficit di politica", che chiama principalmente in causa "le classi dirigenti, i rappresentanti del popolo": "Pur essendo stati eletti per servire, non si impegnano fattivamente per la promozione del bene comune"
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“Se, per ora, è ritenuto più urgente lavorare attorno a ‘spartiti’ piuttosto che sui partiti, è chiaro che la piena coniugazione della ‘partecipazione’ nella vita democratica, a tutti i livelli – compreso quello sociale, europeo, mondiale – condurrà, prima o poi, a porsi il problema di come poter essere protagonisti efficaci nei parlamenti, là ove devono giungere le proposte di legge affinché siano discusse ed eventualmente approvate. Resta, per i cattolici, sempre decisivo il riferimento all’insegnamento sociale della Chiesa, al suo metodo di ‘discernimento’, al suo stretto collegamento con l’Evento del ‘Verbo che si fa carne’ e che sollecita a realizzare anche nella politica, mediante la sua Carità, quella pienezza di umanità che la morte e risurrezione di Cristo consentono, preparando quasi la materia per il Regno dei cieli”. Lo dice al Sir mons. Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana, autore del volume “Chiesa e democrazia. Seconda edizione rivista ed ampliata”, (ed. Società cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2025). Un saggio pubblicato dopo la Settimana sociale dei cattolici in Italia, che si è svolta a Trieste, nel luglio 2024, scritto con l’auspicio per i cattolici di realizzare una “democrazia ad alta intensità”, come auspicata dal Papa.
Eccellenza, che cosa si intende per democrazia ad “alta intensità”?
Per giungere a realizzare una democrazia ad “alta intensità”, secondo il linguaggio adoperato anche da Papa Francesco, è necessario dapprima capire che essa si trova attualmente in una situazione di “bassa intensità”. La democrazia a bassa intensità è connotata, anzitutto, da alti tassi di povertà e diseguaglianze sempre più crescenti. È, in secondo luogo, caratterizzata da un “deficit” di politica, che chiama in causa le classi dirigenti, i rappresentanti del popolo, i quali, pur essendo stati eletti per servire, non si impegnano fattivamente per la promozione del “bene comune”, specie per quanto riguarda i meno abbienti, gli emarginati, i migranti, i giovani, le donne. In sostanza, la politica anziché essere un’attività di servizio al bene di tutti, si trasforma prevalentemente in strumento di lotta per un potere asservito a interessi settoriali, di parte.
Invece di orientare l’economia e la finanza al bene comune, la politica viene dominata da gruppi oligarchici che la strumentalizza ai loro fini.
Tutto ciò vede ribaltato l’ordine gerarchico tra economia e politica. Quest’ultima, a causa di un neoindividualismo libertario e del neoutilitarismo imperanti, subisce il primato della prima. Il risultato è un’economia “nemica” delle persone e della società, anziché un’economia “amica” che promuova uno sviluppo integrale e sostenibile.
E quale può essere la via d’uscita?
Negli Stati democratici la rivalutazione della politica avviene mediante un protagonismo “collettivo”, democratico. Passa attraverso la ricomposizione dell’anima della società civile, del suo “ethos”, che l’aiuta, in un contesto di molteplici culture e religioni, a ricostruire una “coscienza politica comune e condivisa”. Solo per questa via, in un contesto di forte scetticismo etico come quello odierno, sarà possibile ricostruire una piattaforma etica, essenziale per la democrazia in genere, per una democrazia ad alta intensità in particolare, inclusiva dei nuovi poveri, degli invisibili, dello sviluppo del creato in Dio. La democrazia ad alta intensità, oltre a nuovi movimenti sociali e culturali sensibili e responsabili nei confronti della gestione della “res publica”, implica, pertanto, il superamento delle dottrine economiche neoliberistiche sopra accennate e pone in atto un’”economia di mercato” orientata dall’autorità politica e dalla società civile e fraterna verso il bene di tutti.
Perché bisogna farsi incessantemente popolo e cosa significa più concretamente?
Di fronte ai mali della democrazia contemporanea – crisi etica, crisi strutturale, populismi ed oligarchie predominanti, astensionismi crescenti e analfabetismi politici, diseguaglianze, ingiustizie – occorre “riabilitare” la politica, in particolare il “potere democratico” dei popoli. Come?
Favorendo, mediante formazione e informazione trasparente, mediante riforme degli attuali partiti in effettivi strumenti di partecipazione popolare – si pensi solo al fatto che presentano liste bloccate di candidati -, l’essere, il sentirsi e il farsi incessantemente popolo.
Questo costituisce la “precondizione” del divenire e dell’essere democrazia “del” popolo, “con” il popolo, “per” il popolo: democrazia rappresentativa, partecipativa, deliberativa, effettivamente più sociale, inclusiva. Si è, ci si sente, ci si fa incessantemente “popolo”, sperimentando, giorno dopo giorno, la cultura della vita e dell’incontro nel dialogo, sulla base delle proprie identità, in una pluriforme armonia, derivante dalla “comune ricerca” del vero, del bene, del bello e di Dio. Essa apre all’esperienza della fraternità, della prossimità, della comunione di beni-valori. Si diviene “popolo”, in cui le differenze sono armonizzate all’interno di un progetto condiviso di Paese, riscoprendo la propria “vocazione al bene comune” e praticando il “dialogo sociale” fra i diversi, su più piani: con gli Stati, con le società – ivi compreso il dialogo con le scienze e con altre culture, con le religioni – e con gli uomini di buona volontà.
Come incidere con la formazione?
In vista di una democrazia fondata su un consenso sociale più libero e responsabile, su un popolo maggiormente coeso dal punto di vista etico e culturale, nelle scuole di ogni ordine e grado, va senz’altro incrementata l’”educazione civica” per la formazione di nuovi cittadini e, conseguentemente, per una piena integrazione tra stranieri ed italiani. Analogamente, a fronte di una rivoluzione tecnologica non strutturata ed istituzionalizzata eticamente – di fronte addirittura all’eventualità che grandi imprese che si riconoscono nel capitalismo “woke” si impadroniscano degli Stati, europei e non, e pongano il “welfare pubblico” in mano ad oligarchie tecnocratiche il cui obiettivo primo è il mero profitto e non le persone – diventa urgente che si lavori a proposte e a disegni di legge da sottoporre ai parlamentari delle varie rappresentanze. E questo per regolamentare l’IA promuovendone le applicazioni buone nei vari contesti civili, per evitare la manipolazione delle coscienze e delle menti dei cittadini, oltre che dei loro rappresentanti. In breve, oggi diviene fondamentale la formazione dei cittadini e di nuove classi dirigenti, il superamento dell’analfabetismo nei confronti della democrazia, la crescita della democrazia dal basso.
I cattolici (sparsi) in politica. Qual è il loro ruolo?
Occorre dire che nel dopo Trieste, ossia dopo la Settimana sociale dei cattolici lì svoltasi, si rende visibile un maggior protagonismo, un più intenso desiderio di incontro tra le varie famiglie spirituali e culturali del mondo cattolico. Ciò è fondamentale, perché il mondo cattolico è senza dubbio chiamato, per motivi di fede e di ragione, a dare il proprio apporto alla soluzione, per quanto possibile, della crisi etica e strutturale della democrazia contemporanea, entrando in dialogo con altre culture politiche e religiose. In vista di ciò è fondamentale che non si rinunci ad elaborare intensamente una nuova cultura cattolica e politica, sulla base della tradizione del movimento sociale cattolico e di ispirazione cristiana. Occorre evitare il rischio della mediocrità spirituale, la pericolosa separazione tra fede e vita. È necessario un pensiero pensante, sapienziale. Non va dimenticata una condotta secondo la virtù della Carità, secondo un “Amore pieno di verità”.