C’è una politica da pacificare per il bene dell'Italia
Due mesi di tentativi senza esito. Una legislatura che pare morta ancor prima di cominciare. Mesi difficili all’orizzonte. L’Italia aspetta soluzioni e si interroga sulle prossime tappe: accordo in extremis tra 5 Stelle e Lega o un "governo neutrale" che rischia di non ottenere la fiducia? Uno scenario difficilissimo, in cui tornano alla memoria le parole del card. Bassetti e il suo invito a "pacificare" il Paese e ad "abitare questo tempo con occhi sapienti e nuovi propositi di ricostruzione".
Tre giri di consultazioni, due incarichi esplorativi affidati ai presidenti di Senato e Camera, un solo risultato: la certificazione dello stallo in cui versa oggi l'Italia. Conclusione più amara non poteva forse esserci e, in questo scenario, il Paese deve essere quantomai grato al Presidente Mattarella per la lezione che ci ha offerto, da autentico servitore della democrazia e delle istituzioni.
Il discorso di lunedì riassume bene senso e stile di un'azione dispiegata con pazienza, senza nascondere la delusione ma senza mai assurgere a protagonista e tentando anzi in tutti i modi di aprire strade praticabili ai partiti, perché sapessero assumersi le loro responsabilità di fronte ai cittadini.
Dal presidente non sono venute chiusure pregiudiziali nei confronti di alcuno, ma la ribadita consapevolezza che esiste un bene superiore da tutelare che non può essere piegato alle convenienze di parte.
Poteva nascere, come Salvini ha chiesto fino all'ultimo, un governo di centrodestra che si fosse presentato alle Camere sapendo di dover fare affidamento su qualche decina di "responsabili"?
Forse sì, ma sarebbe stato un rischio troppo grande, vederlo rimanere comunque in carica a gestire una nuova campagna elettorale se avesse fallito nel suo intento.
Così come sarebbe stata una forzatura sciogliere immediatamente le Camere e indire nuove elezioni lasciando in carica l'attuale governo, figlio di una maggioranza che gli italiani hanno sonoramente punito col voto.
Meglio in ogni caso – che sia nel pieno dei suoi poteri o limitato all’ordinaria amministrazione – un esecutivo estraneo alla contesa elettorale e alla dialettica dei partiti.
C'era un’altra soluzione possibile? L'unica strada passava con tutta evidenza per un compromesso.
Ma nessuno fino a lunedì ne ha inteso pagare il prezzo: non i 5 Stelle, non il centrodestra e nemmeno il Pd. E quand'anche si raggiungesse in extremis un'accordo tra 5 Stelle e Lega, sarà comunque gravato dalle scorie di due mesi di ingiurie reciproche.
Ha giocato la figura di Berlusconi, certamente. Ma lo scontro tra Di Maio e Salvini sul ruolo di Forza Italia è solo la punta di un iceberg che da anni condiziona la politica italiana e la sta portando oggi a un disastro annunciato. La stessa chiusura "a prescindere" – questa volta nei confronti dei 5 Stelle – si è dimostrata preponderante nel Pd. E un accordo col Pd è stata l'unica soluzione esclusa con nettezza già in partenza da Salvini.
Ognuno ha le sue ragioni, sia ben chiaro.
Ma più delle ragioni ha evidentemente pesato il calcolo, il posizionamento per un "dopo" intuito già vicino.
E forse, ancor più del calcolo, ha pesato una deriva della politica italiana di cui la recente campagna elettorale ha rappresentato il culmine ma che è il prodotto di vent'anni di bipolarismo distorto trasformatosi ormai in un tripolarismo del "tutti contro tutti".
Vent'anni di avversari trasformati in nemici (propri e della democrazia), di reciproche scomuniche, di "mali assoluti", oggi ci presentano il conto. Ed è un conto tanto più salato perché con questi numeri il sistema elettorale proporzionale obbliga alla condivisione, precludendo di fatto a ognuna delle parti la possibilità di governare da sola.
Di fronte a tanto sfacelo, il presidente Mattarella avrebbe potuto avocare a sé un ruolo ben più incisivo.
E invece, ancora una volta, ha voluto indicare ai partiti una strada possibile: lasciar partire un governo neutro, dandosi così ancora tempo per ricercare in Parlamento una possibile maggioranza politica capace di mantenere in vita la legislatura.
Anche in un contesto deteriorato – pare ricordare Mattarella – può esserci lo spazio per restituire alla politica e alle istituzioni democratiche la loro centralità. Ma perché questo avvenga bisogna rimuovere quelle preclusioni che hanno fin qui impedito ogni accordo.
Non è solo un problema dei partiti.
Dobbiamo avere la consapevolezza che le scelte delle classi dirigenti sono (almeno in parte) condizionate da un elettorato rancoroso e diviso in fazioni l’una contro l’altra armate, figlio di una società sempre più disgregata e incapace di trovare le ragioni di un cammino comune.
Da questo sforzo, insomma, nessuno può chiamarsi fuori.
È l’impegno a «ricucire il Paese, pacificare la società» da cui a gennaio il card. Bassetti faceva partire il suo invito ad «abitare questo tempo con occhi sapienti e nuovi propositi di ricostruzione del tessuto sociale ed economico dell’Italia», invitando alla collaborazione «tutte le persone di buona volontà, chiamate a superare le pur giustificate differenze ideologiche per raggiungere una reale collaborazione nel servizio del bene comune».
Parole rimaste inascoltate, come quelle che Mattarella avrà ben scandito a tutti i protagonisti della politica italiana in tre giri di consultazioni.
Ma di qui non si scappa: o ricuciamo e pacifichiamo, o torneremo a scontrarci tra qualche mese in una nuova campagna elettorale destinata anch’essa a rimanere senza vincitori. O a produrre, al più, l’ennesima, fragile vittoria di Pirro.