Buon lavoro, signor ministro. Il Paese sull’Istruzione non può che aspettarsi un investimento politico importante
Tra chi si occupa di scuola è ben chiaro che l’introduzione della parola “merito” fin nella denominazione del Ministero ha una forte valenza politica.
“Sarà un piacere occuparsi di istruzione”. Parola del neo titolare di Viale Trastevere Giuseppe Valditara.
Raccogliamo subito l’entusiasmo e l’emozione del nuovo ministro – che peraltro ha già frequentato in passato le stanze del dicastero – e speriamo che il “piacere” duri a lungo, anche per il Paese, che sull’Istruzione non può che aspettarsi un investimento politico importante. Perché davvero – sono ancora parole del nuovo ministro – stiamo parlando di un “settore molto importante” o, meglio ancora, di un “Ministero strategico per lo sviluppo della Nazione”.
Valditara non è un neofita. Il suo curriculum, ampiamente divulgato in questi giorni, dice di un docente universitario e di un uomo di cultura che di istruzione si è occupato fattivamente, ricoprendo anche il posto di Capo dipartimento per la Formazione superiore e la ricerca al Miur nel 2018 (allora Istruzione e Università erano uniti in un unico dicastero) quando il ministro era Marco Bussetti (in quota Lega, nel governo Conte I). Inoltre Valditara fu il relatore di maggioranza della riforma dell’università durante il governo Berlusconi (con Mariastella Gelmini a capo del Ministero dell’Istruzione).
A ben vedere, dunque, Valditara sa a cosa va incontro prima di aprire le porte del palazzo romano che ospita l’Istruzione e più ancora dovrebbe avere ben conoscenza dei tanti e complessi problemi del mondo della scuola. Al punto che non si può ignorare il forte messaggio politico collegato alla nuova denominazione del Ministero: “Istruzione e merito”. Lui stesso lo ha sottolineato nei primi interventi pubblici.
E in effetti, tra chi si occupa di scuola è ben chiaro che l’introduzione della parola “merito” fin nella denominazione del Ministero ha una forte valenza politica ed evoca immediatamente le innumerevoli questioni che si agitano nel mondo scolastico e riguardano non solo l’ambiente dei docenti – fronte stipendiale, carriera, reclutamento – ma coinvolgono anche la questione delicata della valutazione degli studenti. Si aprono a questo proposito scenari delicatissimi come quelli legati agli egualitarismi ritenuti eccessivi nella scuola pubblica, alle critiche sempre presenti di chi vede i rischi di una scuola inclusiva che appiattisce verso il basso, alle perenni discussioni su competenze e selezione e chi più ne ha più ne metta.
C’è ci ha già fatto notare che la parola “merito” non è una novità, essendo richiamata addirittura nella Costituzione, proprio a proposito degli studenti. Tuttavia il “merito” introdotto ora a titolo del Ministero diventa una vera sfida.
Una provocazione da raccogliere e tradurre in atti di concreti, che possiamo aspettarci fin dai primi passi del nuovo Governo, anche se è chiaro che a proposito di scuola ci sono ben altre emergenze da affrontare con decisione. E alle quali guardare con l’occhio attento e l’empatia necessaria soprattutto verso le nuove generazioni che sono le protagoniste dell’universo scolastico, che abitano i nostri istituti spesso più delle loro abitazioni. E in questi istituti proprio le nuove generazioni – è l’immagine che viene anche da tante notizie di cronaca – cercano spesso gli aiuti necessari per costruire identità e personalità capaci di affrontare le sfide generazionali e quelle che la vita pone loro davanti tutti i giorni.
La scuola è principalmente questo: una palestra, un luogo tutelato e sicuro, dove diventare grandi, aiutati da adulti competenti e consapevoli della responsabilità. Dove valorizzare le personalità, anche i talenti (i “meriti”) di ciascuno, collocandoli in un mondo di relazioni ampie e complesse per le quali spesso le famiglie non sono attrezzate.
Buon lavoro ministro.