Aspettando l’autunno. I segnali positivi da Bruxelles sono indicativi di un'assoluta provvisorietà e difficoltà che rimangono
L’autunno porterà con sé o l’ennesima stangata fiscale o un netto ridimensionamento delle spese pubbliche.
Tutto bene, dunque? La procedura d’infrazione comunitaria (per ora) evitata; lo spread sotto quota 200; i dati sulla disoccupazione che parlano di un 9,9% che non si vedeva da anni… Sembrerebbe un anticipo di primavera, anche se nemmeno dalle parti del Governo si sono viste particolari manifestazioni di giubilo. Ed è presto detto il perché.
Se tutti questi elencati sono segnali positivi – che sono sempre meglio di sberle in faccia –, sono pure indicativi di un’assoluta provvisorietà e di difficoltà che tuttora permangono. Bruxelles ci ha per adesso lasciati perdere per due ragioni: una politica (il presidente Mattarella si è molto speso per rassicurare tutti che il Paese è in carreggiata) e una temporale. Semplicemente, se ne riparlerà in autunno dopo che l’Italia avrà fatto i compiti in casa. Che sono: un aggiustamento fiscale da oltre 20 miliardi di euro da fare tutto con tagli della spesa (se non si vuole aumentare l’Iva); quindi addio a flat tax e altri choc fiscali nell’agenda politica, che già è stata pesantemente sacrificata: nei mesi scorsi le tasse sono salite e si sono avuti risparmi da reddito di cittadinanza e pensioni a quota 100 perché molti meno italiani li hanno richiesti rispetto al previsto.
Altro aspetto non rassicurante: non godremo di sponde politiche in Europa. Siamo stati messi ai margini, non avremo sconti od occhi di riguardo.
Lo spread, poi, ci rilassa (meno interessi da pagare sul debito pubblico) ma sta sempre a livelli insostenibili rispetto agli altri Paesi dell’area euro: quello della Spagna è a 62, quello del Portogallo a 72, solo la Grecia ci supera ma di poco. Significa che i nostri titoli di Stato sono penalizzati il triplo rispetto a quelli portoghesi…
Non un indice di grande fiducia internazionale, insomma. Così come non c’è da esultare sul fronte dell’economia. Che non cresce e si spera in realtà che non inizi un percorso di recessione, nonostante previsioni inizialmente molto diverse. Frena l’export e il mercato interno rimane stagnante. Mmh…
Infine il lavoro. Il dato è molto buono, ma. E i ma condizionano l’assunto. L’Italia rimane fanalino di coda in Europa rispetto al numero di persone attive nel lavoro; mancano all’appello un camion di ore di lavoro rispetto al passato, segno che gli occupati crescono ma lavorano meno di prima. E queste ore sono pagate sempre meno, tanto che in Parlamento si discute un’improvvida legge sul minimo salariale a 9 euro netti l’ora.
Ecco spiegato perché tutte quelle rondini non fanno primavera. L’autunno porterà con sé o l’ennesima stangata fiscale – unica manovra che ormai i governi italiani conoscono a memoria – o un netto ridimensionamento delle spese pubbliche, che negli ultimi mesi hanno ripreso a galoppare. Bisognerebbe che a galoppare fosse l’economia, ma questa per farlo ha bisogno d’altro che un decreto ministeriale al quale si appiccica la parola “crescita”.