AI, affrontiamola con intelligenza. Un’indagine ha rivelato che molte organizzazioni aziendali stanno introducendo o pensano di introdurre l’Ai nei processi produttivi
L’Ai è vista come una “bomba” per il potenziale innovativo che ha, mentre non destano grandi preoccupazioni né gli aspetti etici che l’avvolgono, né le conseguenze sui livelli occupazionali
Genetica e algoritmi sono il futuro (già presente) della nostra vita, anche in forma combinata. Se la prima regalerà tante novità – di tutti i tipi, non sempre positive – per la salute e il benessere fisico, i secondi sono le cellule che strutturano l’intelligenza artificiale (Ai). L’uomo si è reso conto che la gestione di una quantità assurda di algoritmi può produrre un’infinità di applicazioni pratiche, particolarmente efficaci nel mondo della comunicazione e nell’economia in generale. Insomma, possiamo realizzare “macchine” pensanti se riversiamo in esse una gigantesca quantità di informazioni, superiore – e sempre di più – a quante può contenerne il cervello umano.
Bene, stiamo già passando dalla teoria alla pratica, anche in Italia che è partita un po’ a rilento, ma sta recuperando. Un’indagine condotta qualche mese fa dal Politecnico di Milano ha rivelato che molte organizzazioni aziendali stanno introducendo o pensano di introdurre l’Ai nei processi produttivi: nel marketing, nella ricerca e sviluppo, nella produzione.
Insomma l’Ai è vista come una “bomba” per il potenziale innovativo che ha, mentre non destano grandi preoccupazioni né gli aspetti etici che l’avvolgono, né le conseguenze sui livelli occupazionali (e solo il 2% prevede nuove assunzioni). Nell’Unione Europea il Digital Compass si propone di raggiungere l’obiettivo di introdurre cloud, Ai e Big data nel 75% delle imprese entro il 2030; già la ricerca del Politecnico svela che il 70% del campione aziendale coinvolto prevede di averci a che fare a breve termine. Insomma una diffusione a tappeto che fa capire che da quelle forche caudine ci passeremo tutti.
Se già il mondo del giornalismo ha sperimentato la capacità dell’intelligenza artificiale di produrre contenuti dei quali si fatica a capire se l’artefice sia l’uomo o la macchina, s’immaginino le applicazioni già domani nel settore bancario e finanziario (non che ora si lavori con la clava in quegli ambienti); nelle vendite e nei servizi. Ma pure in altri sofisticati ambiti: si pensi al riconoscimento facciale per le forze dell’ordine – e non solo per loro: quando la quantità di dati raccolti e immagazzinati sarà sufficiente e “vendibile”, ogni negozio potrà inquadrare le facce poco raccomandabili entrate nel punto vendita. O “profilare” la clientela a seconda di dove e come si muova all’interno del negozio. Per dire. E la privacy? Diventerà una parolaccia bandita per legge.
Il fatto è che siamo alle prime luci dell’alba di tale giorno. Siamo al tempo degli esperimenti sull’elettricità che ne facevano intravvedere il potenziale, ma vai ad immaginare a quel tempo cosa sarebbe diventata l’elettricità per l’umanità! Oggi pensiamo ad Alexa, ma sarà molto, ma molto di più già dentro questa prima metà di secolo.
Fa impressione rivedere “2001 Odissea nello spazio”, quando nel 1968 Kubrick immaginava appunto quella data con computer intelligenti e parlanti, ma grandi come un container. Appena due decenni dopo, stiamo creando microchip così piccoli e potenti da installare nel cervello per migliorarne la funzionalità. Una situazione che ci fa oscillare tra la curiosità di sapere come sarà il 2100, e la serenità che ci dà il fatto che non sarà affar nostro.