40 anni dall’omicidio di Aldo Moro: chi ha più filo tesserà
Nell’attuale scenario politico il pensiero di Aldo Moro non torna per suscitare nostalgie e ricordi - che pure hanno umanamente un grande valore - ma per chiedere con insistenza di ritrovare la ragioni più profonde di un impegno, di un servizio, di una responsabilità di fronte alla storia, di fronte alle generazioni che salgono.
“Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino, ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo”.
E’ uno dei pensieri di Aldo Moro che, con molti altri, ritorna a 40 anni dal 16 marzo 1978. Le immagini del massacro compiuto dalle Brigate Rosse seguite da quelle del calvario durato 55 giorni e dall’assassinio del 9 maggio sono indelebili.
Ma della storia e dell’insegnamento di un uomo che aveva vissuto l’impegno politico come servizio alla verità e come forma esigente e alta di carità non può rimanere solo il racconto di quei giorni.
Giorni che ancor oggi dicono di una ferita aperta, sia per le ombre che ancor rimangono sia per i tentativi di rimuovere una memoria che bussa alla porta della coscienza di un Paese.
Nell’attuale scenario politico il pensiero di Aldo Moro non torna per suscitare nostalgie e ricordi – che pure hanno umanamente un grande valore – ma per chiedere con insistenza di ritrovare la ragioni più profonde di un impegno, di un servizio, di una responsabilità di fronte alla storia, di fronte alle generazioni che salgono.
Torna una frase che Aldo Moro ripeteva:
“Chi ha più filo tesserà la tela”.
Il filo è la ragione, il tessere è la capacità intellettuale di argomentare le proposte, le scelte, gli obiettivi e di dialogare con le differenze senza rinunciare alla verità, senza nascondere l’asprezza della realtà per paura di perdere voti.
In questo esercizio, appreso nell’esperienza universitaria, più precisamente nella Fuci, Moro aveva più dubbi che certezze. Il dubbio non fu mai disorientamento ma sempre ricerca appassionata e incrollabile dell’essenziale per l’uomo.
La sua era la certezza cristiana che ogni uomo è portatore di un brandello di verità ma che nessun uomo o classe o partito può pretendere di possedere intera la verità.
“E allora – commenterà il suo “allievo” Mino Martinazzoli – sul terreno della politica non vi era alternativa a un’esauriente opzione democratica, la sola che può garantire la convivenza delle diverse speranze di verità e di più garantire che possano convogliarsi e comporsi nella ricerca del bene comune”.
La lezione di Aldo Moro diventa un appello a “chi ha più filo”, cioè più capacità di interpretare con la ragione e con la fede, i segni dei tempi perché non si stanchi di “tessere la tela” della verità della libertà e della giustizia.
Paolo Bustaffa