Dall'eternità... a qui. Una meta di bellezza
È capitato qualche volta che, dopo avermi sentito parlare del Cielo e della Vita Eterna, qualcuno abbia sollevato delle perplessità. Comprensibili, poiché io stessa, a suo tempo, me le sono poste.
Parli come una che l'abbia trovato, il Cielo - mi si dice. No, non l'ho trovato, ma come S. Paolo, dimentica del passato, attraverso il presente mi volgo alla Meta (cfr Fil 3, 13-14) e proprio perché c'è una Meta sì bella e gloriosa, mi è più facile dotare di senso il presente (Spe Salvi 1 e 2), specie nei momenti di sofferenza e difficoltà, quando sarei tentata di dire che “tutto è niente” e invece il cuore anela a “Dio tutto in tutti” (1 Cor 15,28).
A un altro sorge il legittimo dubbio che pensare al Cielo possa voler dire fuggire dalla realtà e dalle proprie responsabilità. Rispondo con le parole di S. Agostino Roscelli: “...Se bramare l'eterna beatitudine fosse cosa non buona, Iddio infinitamente buono e sapientissimo, non l'avrebbe mai proposta come premio ai suoi fedeli servi” e ancora “... È falsissimo che la perfezione cristiana sia impedita dalla speranza della gloria del Cielo...S. Paolo, Santa Teresa, S. Agostino e tanti altri, principalmente nel fiore della loro vita, come cervi assetati che anelano alle fonti, erano portati dai desideri più veementi al godimento del loro Signore” (A. Roscelli, La virtù della speranza).
Non fuggo dalla realtà, ma vado verso la Realtà di Dio, che è certamente più ampia, più profonda, più inclusiva, più ricca, più vera, di quella che ciascuno di noi chiama “realtà” solo perché percepibile coi sensi fisici, o perché filtrata da convinzioni personali e collettive. Oriento tutto di me, della mia vita, delle mie relazioni, specie negli aspetti più difficoltosi, verso il compimento che Dio ci ha promesso. E, dopo aver fatto tutto quello che in sincerità di cuore, ho potuto fare, ripongo quella situazione, quella persona, quel problema, nelle mani di Dio, in un sereno affidamento, credendo che tutto avviene all'interno del Suo sguardo e che tutto concorre al Bene di coloro che amano Dio.
Qualcuno ha anche chiesto: se è così bello il Paradiso, perché aspettare, perché non anticiparlo? Anche S. Paolo, forse, avvertì questo dilemma, quando disse che meglio per lui sarebbe stato il morire per unirsi totalmente a Cristo. (cfr Fil 1, 21-24). Sta di fatto che l'attesa fa parte del gioco: noi non sappiamo come Dio ci plasmi, attraverso il desiderio, come ci renda adatti a Lui, così come Lui si è reso simile a noi nella storia. E' un circolo virtuoso, quello della nascita in terra e della nascita al Cielo, la “ghirlanda dell'eterna misericordia”, canta il poeta (M. Cornali, Le mie lotte con l'Angelo), che ci rimane però oscura, misteriosa nella sua essenza. S. Agostino esorta a che la nostra vita sia tutta “un santo desiderio”.
A tutti capitano situazioni, periodi, in cui ci sentiamo persi, cadono ad una ad una le nostre certezze. Pensavamo di aver trovato le nostre risposte e la vita ci ha di botto cambiato tutte le domande. Che fare? Partire dal traguardo, dalla “causa finale” direbbero i Santi, così che la Sua luce lasci trapelare qualche spiraglio sul nostro cammino, che lo illumini col Suo ricordo. Ricordo? Come può esserci un ricordo di qualcosa che ha ancora da venire? Eppure, l'eternità è già qui, o meglio noi siamo nel Suo grembo e quello che chiamo “ricordo” è una sete che “sa” della Fonte. I mistici su questa strada sono maestri.
Mi è stato anche chiesto, stavolta da alcuni adolescenti: perché Dio non ci ha tenuti con sé, perché non ci avete lasciati direttamente in Paradiso? Questa domanda mi tocca profondamente, perché ricordo d'averla posta, a suo tempo, anche io a mia madre. E non crediate che sia solo perché da adolescenti si è scontenti di tutto, forse è anche una provocazione perché vengano date risposte “forti”, attraenti, misteriose. A me sarebbe piaciuto che mia madre avesse risposto in termini di fiducia, speranza, bellezza, di desiderio del Bene. Mi avrebbe aiutato molto, negli anni a venire, nelle tempeste della vita, “sapere” (sapere con tutta l'anima, proprio perché consaputo), che “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8,18).
La contemplazione di una Meta di Bellezza, basata su una speranza affidabile, è in un certo senso performativa, pro-attiva, poiché plasma il presente alla luce del futuro luminoso di Dio (Benedetto XVI, Spe salvi 1 e 2). In altre parole, se davvero credo e spero nel Cielo, che è Dio nel Suo Volto di Felicità, farò delle scelte conseguenti, prenderò delle decisioni in armonia col tesoro del mio cuore.
Monica Cornali
Psicologa clinica, tanatologa, poetessa