M come memoria. È una risalita verso il presente
Mettiamoci in ascolto di chi porta su di sé i segni del passato
Novembre, mese della memoria. Inizia ricordandoci chi ci ha preceduto nel cammino della fede, tracciando sentieri che ci permettono di raggiungere le vette della santità. Il giorno seguente, i nostri piedi calpestano il “giardino della memoria”, in cui riposano le spoglie dei nostri cari e amici; lì giace per sempre anche quella parte di noi che li ha amati. 4 novembre, festa dell’Unità nazionale: ci si ritrova attorno al monumento per deporre una corona di alloro.
In questi giorni di memoria, mi sono fermato a fissare con attenzione le foto dei giovani che attorniano il mausoleo. Volti ignari di ciò che di lì a breve sarebbe loro accaduto. Si sono fatti immortalare prima di partire per un viaggio senza ritorno.
Nessun sorriso, a differenza delle nostre foto in cui siamo sempre sorridenti: sorridenti in foto e tristi nella vita! Nel fissare questi volti, ho sentito sorgere in me una profonda riconoscenza, preghiera e commozione «perché non sono più» (Ger 31,15): la storia, come una belva impazzita, li ha inghiottiti. È triste ricordarsi di loro solo il 4 novembre mentre per il resto dell’anno sono confortati solo da quella corona di alloro che appassisce velocemente, come la nostra memoria.
Come si può programmare il futuro se non ci si ricorda del passato, se non si fa memoria di ciò che è stato prima che noi cominciassimo a essere? Parafrasando il titolo di un celebre dipinto, non dobbiamo mai dimenticare che il sonno della memoria genera dei mostri, non solo nei tempi passati, ma anche oggi. Il ritorno dell’antisemitismo, del fascismo, comunismo, nazismo… è un segnale inquietante: le foto in bianco e nero di quei ragazzi ci ricordano qual è l’epilogo degli “ismi”.
Fare memoria non significa ricordare qualche episodio accaduto tanti anni fa, oppure leggere un po’ di libri, cose per altro fondamentali, soprattutto nel periodo scolastico. La memoria è qualcosa di più profondo. Non significa nemmeno regredire dal presente al passato, seguendo correnti più o meno tradizionaliste: la nostalgia dei bei tempi. Fare memoria, al contrario, significa far progredire il passato fino al presente. Entrare nelle vicende che ci hanno preceduto, comprendere il più possibile le radici di quel dramma, di quella catastrofe politica, di quella calamità sociale e, carichi di queste terribili memorie, risalire lentamente verso il presente, perché «la memoria dell’orrore è l’unico antidoto per evitare il suo ritorno» (Paolo Rumiz).
In questo lavoro di risalita verso il presente è necessario farsi accompagnare da chi il passato lo ha vissuto in prima persona e ne porta ancora i segni: i vecchi. Chi è carico di anni, chi si è speso per il bene comune o ha avuto esperienza nell’amministrazione della cosa pubblica non può essere semplicemente “rottamato” – termine terribile quando è rivolto a una persona. Queste persone andrebbero piuttosto messe nella condizione di raccontare l’esperienza vissuta.
La speranza di un futuro migliore è legata all’ascolto di chi sa far memoria del passato. Un albero senza radici crolla sotto le prime raffiche di vento, una politica senza memoria è destinata a crollare sotto i colpi dei populisti che, come un’ascia, colpo dopo colpo, stanno separando il tronco del presente dalle radici del passato. Le varie forme di radicalismo, soprattutto da parte dei giovani ma non solo, trovano alimento nel vuoto di memoria, che facilmente diventa un vuoto di senso e, terrorizzati dal nulla, si diventa facili prede dell’indottrinamento.