Torniamo alle strade battute o guardiamo avanti?
Celebrata per la prima volta lo scorso anno, la Giornata mondiale dei poveri rischia già di essere dimenticata
Colpisce la sapienza di un vecchio cardinale che, al momento di lasciare le sue funzioni, ringraziava Dio di quanto avesse ricevuto e di quanto avesse dato. Vedeva la sua vita dall’alto di un campanile e si stupiva dell’intreccio di caseggiati, palazzi, chiese, vicoli, strade...
Scopriva che il corso della vita s’era snodato fluido e intenso. Quanto sul momento sembrava oscuro, alla fine risultava funzionale. Il mosaico complesso di una città e di una vita. Dio aveva ben dipanato la matassa della sua vita, senza troppi intoppi. Un po’ di spiritualità aiuta a essere veri e a elevarsi per vedere meglio, per saper mettere in comunicazione, per valorizzare anche le strade secondarie, per operare al raccordo, per lavorare su progetti e non naufragare nelle relazioni corte.
Bisogna avere coraggio e lungimiranza. Il coraggio dell’autorità, del convogliare i diversi, del coniugare passato e futuro, dello scoprire non un mondo da costruire ex novo ma del contribuire a modificarlo. Lungimiranza è rendere il momento presente un frutto maturo del passato e un passaggio fondamentale del futuro. Lungimiranza è imparare a ospitare, articolarsi e vivere insieme da diversi, è sapere negoziare in un mondo complesso.
Lungimiranza è scoprire che il mondo ormai l’abbiamo in casa e che la nostra casa è nel mondo, lo si voglia o no.
Purtroppo ci si deve confrontare spesso con il grande desiderio di semplificare, chiarire, ridurre...
La complessità rende insofferenti o disinteressati: molto meglio parlare di integrazione, di temporaneità, di transitorietà. La povertà, ad esempio, ha mille volti e non deve lasciare indifferenti e tanto meno rassegnati. Però il povero è divenuto un termine onnicomprensivo, generico, banale: va dall’emarginato, al senza tetto, dal debole al disabile, dall’ultimo al solo, dal misero al migrante, dal rifugiato al precario, dal malato allo sfruttato... Alla fine si parla di tutti e di nessuno!
Di soglia di povertà o di persone? Non sarebbe più facile guardare meglio, distinguere, capire chi è povero economicamente, culturalmente, socialmente, legalmente, politicamente, psicologicamente?
Sicuramente ci aiuterebbe ad avere un quadro completo per un servizio più adeguato, a sfuggire all’euforia del fare subito e... poi si vedrà.
La Chiesa italiana s’è impegnata costantemente a far passare il messaggio che il migrante va considerato nella sua integrità di persona, non alle sole necessità materiali. Le persone che emigrano sono più importanti del fenomeno e meritano una cura pastorale da continuare anche oggi. È per questo che, ispirandosi a Caritas, è stato scelto il nome Migrantes per quel servizio pastorale che da decenni si occupa dei soggetti delle migrazioni.
I mille volti della povertà sono il presupposto dei mille volti della carità, per un credente: basti pensare alle vecchie sette opere di misericordia corporale e alle altre sette di misericordia spirituale.
Non sono prime o seconde per ordine di importanza ma tutte vanno praticate. Papa Francesco, convogliandole tutte, senza confonderle, in un solo Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale ha voluto contribuire alla chiarezza dell’azione e della complementarietà. Questo segno esprime la sollecitudine della Santa Sede per quanto riguarda la giustizia e la pace, incluse le questioni relative alle migrazioni, la salute, le opere di carità e la cura del creato. La promozione dello sviluppo umano integrale alla luce del Vangelo e nel solco della dottrina sociale della Chiesa supera quanto era suddiviso in vari uffici e servizi. In questo quadro è nata la prima Giornata mondiale dei poveri (19 novembre 2017) che ha preso un po’ tutti alla sprovvista. L’attenzione è sfumata in fretta. Facile tornare alle vecchie strade battute e consolidate.
Che ci sia modo di farci un pensiero? Un’occhiata dal campanile può far bene.