Il populismo è tornato di moda
Nazismo, fascismo, comunismo. Gli -ismi non hanno mai lasciato buoni ricordi
Essere populisti è diventato di moda. Dopo essere stati imboniti e imbolsiti da novanta giorni di campagna post-elettorale per la formazione del nuovo governo, sembra che la formula magica per aver successo sia quella di essere populisti.
Nel suo discorso di insediamento il premier Conte ne ha parlato come di un merito, «se indica l’attitudine ad ascoltare i bisogni della gente». Peccato che quel “se” lasci presumere ben altri usi: dire quello che la gente vuol sentire, far credere alla gente quel che si vuol far credere. Nell’aula del Parlamento lui, che è un professore, è stato rimbeccato come uno scolaretto: gli han detto di studiare, perché i populismi hanno provocato catastrofi nella storia. D’altra parte, basterebbe sapere un po’ di filologia e di diritto per tenersi a distanza da alcune parole e realtà che finiscono per -ismo: nazismo, fascismo, comunismo.
Comunque, mi prendo anch’io lo sfizio di essere populista, sapendo di non provocare danni, se non alle tasche dei politici nostrani. Al grido salviniano di «è finita la pacchia», dico che bisogna ridurre il numero dei parlamentari, che è il più alto dei Paesi occidentali, e anche il loro stipendio, che si aggira sui 12 mila euro al mese. Stessa cosa per i nostri deputati europei, che hanno uno stipendio base di 149.215 euro: incassano il quadruplo degli spagnoli. E che paghino il giusto al ristorante di Montecitorio, non 84 centesimi i ravioli al ragù, 1 euro e 70 una braciola. E via anche il barbiere, viaggi, teatri, telefonini, dentista, tutti gratis. Via i vitalizi e le auto blu.
Ho avvisato: ho fatto il populista, senza i doverosi distinguo. I dati e i fatti, però, sono veri, e si trovano nel libro La Casta di Rizzo e Stella. L’han scritto nel 2007 e non è cambiato niente. Proprio come il populismo: o fa danni, o non porta proprio a niente.