Via dall'Ucraina e dalla violenza, a bordo del volo umanitario di Caritas e Open Arms
Svetlana con le sue bambine; Olena, anziana ex insegnante di inglese, che lascia il figlio a combattere; eppoi Gino con la nipote 18enne a altri italiani evacuati dall’Ucraina. E un ragazzo ucraino malato di Sla, che sarà ricoverato al Gemelli. Sono alcune delle persone che partiranno con i primi voli umanitari verso l’Italia operati da Open Arms, Caritas italiana e Solidaire. Redattore Sociale è a bordo e ha raccolto le loro storie
Svetlana si augura che quello di oggi sia per lei l’ultimo viaggio: “Se deve essercene un altro sarà per tornare finalmente a casa”, dice. Occhi grandi, arrossati dalla fatica e dal pianto, la donna attende il suo turno davanti al desk allestito da Caritas italiana e Open Arms all’interno dell’Expo di Varsavia, una struttura enorme, dove un tempo si teneva la fiera della città e che oggi è uno dei centri di accoglienza più grandi d’Europa per i profughi ucraini. Ospita circa 7 mila persone, per la maggior parte donne con bambini, ma ci sono anche molti anziani e persone con disabilità, sia motoria che sensoriale. Tra questi, un ragazzo ucraino di 24 anni malato di Sla che sarà trasportato subito all’ospedale Gemelli di Roma.
Qui sono state selezionate le persone che partiranno con i primi voli umanitari verso l’Italia operati da Open Arms, Caritas italiana e Solidaire. Redattore Sociale sarà oggi a bordo con loro.
“Sono scappata da Kiev quando è iniziata la guerra. Sono andata a casa di amici in una cittadina vicina, di cui non so neanche il nome. Abbiamo vissuto sempre sottoterra, con il suono delle bombe e delle sirene. Mi dicevo: aspetta, aspetta, aspetta ma la guerra non finiva. Un incubo”, dice. Le sue due bambine di 7 e 8 hanno smesso di dormire - racconta - la paura era insostenibile. Così, insieme a sua madre di 65 anni, Svetlana ha deciso di passare il confine con la Polonia, dalla stazione di Przmysl è arrivata a Varsavia, è stata ospitata qualche giorno a casa di amici ma poi è stata indirizzata verso l’Expo. “Qui mi hanno detto che c’era una possibilità di venire in Italia, che mi davano accoglienza: ho pensato che sarebbe stato il primo posto sicuro per i miei bambini e ho accettato. Non conosco nessuno lì, ma l’importante è che le bambine possano avere una vita tranquilla, quella che non hanno avuto nell’ultimo mese”.
Anche Olena 70 anni, ex insegnante di inglese, oggi arriverà a Roma. “Sono andata via da Kiev con un’amica perché sono anziana e ho pensato che se fossero continuati i bombardamenti per me sarebbe stato impossibile salvarmi. Ma mio figlio è lì, è rimasto a combattere, è un insegnante anche lui. Non posso pensarci, spero solo che ci rivedremo presto, in Italia o a Kiev finalmente libera”.
I bambini continuano a correre intorno al desk, si ultimano le pratiche, si controllano i passaporti. Tra ieri e oggi i rifugiati in salvo con questa operazione umanitaria saranno circa 400. Tra loro anche 5 italiani che vivevano in Ucraina e che l'ambasciata italiana ha evacuato in questi giorni. Gino Barale, 78 anni è uno di loro. Ha conosciuto sua moglie Galina, ucraina, tramite un’agenzia matrimoniale e da allora è rimasto a vivere in una cittadina a 30 km da Kiev. “Sono nato sotto le bombe e ora a quasi 80 anni mi ritrovo di nuovo sotto le bombe - racconta trascinando un piccolo trolley -. Quando l’ambasciata ci ha portato via siamo riusciti a mettere in valigia quattro cose, ma la nostra vita è tutta là, speriamo finisca tutto presto e che possiamo tornare indietro. Intanto staremo in un paese Novaretto di Capri, vicino Torino, si sono mobilitati tutti per trovarci una casa”. Con loro viaggia anche la nipote di 18 anni: “Deve finire il liceo, non parla italiano ma speriamo possa andare a scuola. I suoi genitori sono rimasti là. Suo padre a combattere, sua madre per non lasciarlo solo”.
“Per noi non ci sono profughi di serie A e di serie B”
Stando agli ultimi dati dell’Unhcr, oltre 2 milioni di rifugiati in fuga dall’Ucraina sono accolti in Polonia, su un totale di 3,3 milioni. “Più che a un corridoio umanitario, l’operazione che stiamo realizzando è simile a un’evacuazione - spiega Oliviero Forti, responsabile Immigrazione di Caritas italiana -. I tempi stretti non ci hanno permesso di fare un lavoro sul lungo periodo, anche perché molte persone hanno espresso la volontà di essere ospitate temporaneamente. Tanti vogliono tornare indietro”.
Le persone saranno accolte in diverse diocesi sparse su tutto il territorio nazionale. “Per noi chi fugge da una guerra deve essere accolto, parallelamente a questi voli stiamo continuando il lavoro per i corridoi umanitari dalla Giordania e dall’Afghanistan. Noi non abbiamo mai fatto distinzione tra profughi di serie A e di serie B”. Sulla stessa scia anche Oscar Camps, fondatore di Open Arms: “Siamo nati quando in Europa arrivarono un milione di persone. C’erano persone che morivano in mare, nell’Egeo e nel Mediterraneo e abbiamo pensato che fosse importante fare qualcosa per salvare quelle vite. La stessa cosa che stiamo facendo oggi qui. Ed è il minimo che si possa fare, utilizzando vie legali e sicure”.