Striscia di Gaza. Lodi (Msf): “Aprire un corridoio umanitario”
"Vediamo moltissimi bambini con delle ferite da esplosione, dei bambini bruciati e dei bambini senza famiglia. È praticamente un disastro": è un passaggio della testimonianza di Chiara Lodi, carpigiana, coordinatrice medica di Medici senza Frontiere (Msf) che si trova attualmente a Gaza. A pubblicarla, nel suo ultimo numero, è il settimanale della diocesi di Carpi, "Notizie"

“La popolazione di Gaza è ripiombata esattamente nella situazione che c’era prima del cessate il fuoco e sono più di tre settimane che non entrano cibo né farmaci. Vediamo moltissimi bambini con delle ferite da esplosione, dei bambini bruciati e dei bambini senza famiglia. È praticamente un disastro”.
È la drammatica testimonianza della carpigiana Chiara Lodi, coordinatrice medica di Medici senza Frontiere, che da circa un mese si trova a Gaza. Quarantuno anni, laureata in Infermieristica, da dieci anni lavora come operatrice umanitaria per Medici senza Frontiere: ha girato tutto il mondo, con oltre 20 missioni all’attivo, facendo parte del “team di emergenza” che è mandato nei luoghi delle catastrofi naturali e delle guerre.
Com’è la situazione e come sta?
Siamo tutti interi quindi… bene. Faccio parte del “team di emergenza” e come tale, nelle missioni, coordino gli interventi medici. Prima del cessate il fuoco, questa era una “zona umanitaria”, dove le organizzazioni potevano lavorare in relativa tranquillità; poi con il ritorno dei bombardamenti la zona umanitaria non è stata ripristinata e
tutta Gaza è a rischio.
Noi abbiamo un centro operativo che ci fornisce indicazioni su come muoverci, per essere in condizioni di sicurezza: poi certo, la paura c’è, hanno bombardato a 500 metri dalla nostra postazione, potrebbe succedere di tutto. Ma di solito le coordinate delle strutture dell’organizzazione umanitarie vengono previamente comunicate proprio per essere risparmiate.
Qual è il compito di Medici senza frontiere a Gaza?
Abbiamo una guest house, un campo base per gli operatori internazionali, e degli uffici. Come Medici senza Frontiere supportiamo quattro ospedali a Gaza, tra il nord e il sud, e vari centri di prima cura, sparsi nelle varie zone e che garantiscono le cure primarie, come dei piccoli “pronto soccorso”. Il nostro compito è di stabilizzare i pazienti che poi trasferiamo negli ospedali; inoltre, ci sono degli ambulatori tipo medici di medicina generale, sia per gli adulti che per i pazienti pediatrici, e un’ostetrica e una ginecologa che garantiscono visite prima e dopo il parto in media abbiamo circa 1000 accessi al giorno. Io coordino tutte queste attività, ossia un team internazionale di medici ed infermieri che lavora a stretto contatto con il personale medico palestinese che è molto preparato. Cerco di organizzare al meglio i rifornimenti medici, i turni del personale, la logistica dei trasporti, la ricerca degli specialisti.
Qual è la preoccupazione maggiore ora?
Con il cessate il fuoco la popolazione aveva lentamente ripreso la vita normale, i bambini erano tornati a scuola; speravamo durasse almeno 60/90 giorni, ma da un momento all’altro tutto è cambiato.
Da oltre tre settimane sono state chiuse le frontiere: questo significa che non entreranno più cibo e farmaci, hanno staccato l’elettricità, l’acqua scarseggia, inizierà a venire meno anche la benzina. A breve mancheranno i beni di prima necessità:
siamo riusciti a far entrare farmaci per un rifornimento di un mese, un mese e mezzo. Dopo non sapremo davvero come fare. Tutti gli aiuti umanitari sono stati bloccati e in attesa di poter entrare.
Chiediamo che venga aperto un corridoio umanitario ma nessuno ci dà ascolto.
Anche perché in queste situazioni le persone si innervosiscono e il rischio è quello che si verificano sommosse interne tra gli stessi residenti di Gaza.
Maria Silvia Cabri (*)
(*) “Notizie” (Carpi)